Dell’attualità della guerra non si può dubitare. Le guerre – «compagne di tutte le civiltà a noi note» – sono combattute dagli uomini, sono un pezzo di umanità e, in quanto tale, costituiscono un campo di indagine su cui gli scienziati sociali, e quindi anche gli storici, si sono dovuti da sempre confrontare. La guerra interessa la storia politica e la storia militare, la storia sociale e la storia economica, ma anche la storia della letteratura, più in generale la storia della cultura, delle idee e la storia dell’arte e della tecnica. La guerra è la storia stessa. Essa – che piaccia o no – sprigiona una creatività e una ricchezza letteraria e artistica talora assai più intense della pace. Eppure parlare della guerra crea sempre un certo fastidio. La nostra cultura fortemente influenzata dall’Illuminismo settecentesco è cultura della pace, di una pace che non appartiene ormai solamente alla sfera religiosa – che ne rimane comunque preziosa custode – ma è valore secolare, laico, che compete al diritto: la negatività della guerra è diventata patrimonio collettivo, una ideologia difendibile sul piano etico, giuridico e civile. Al tempo stesso si è affermata la consapevolezza che la pace va costruita, che la tentazione della guerra è dietro l’angolo, che occorre un progetto serio per affermarla e mantenerla. Ci sono i governi, le diplomazie, il diritto internazionale. La guerra e la pace sono una questione di potere. Certamente la conoscenza della guerra può dare un contributo non indifferente alla costruzione della cultura della pace, e la storia nelle sue diverse sfere di competenza aiuta a mostrarne il volto, «il suo presentarsi, il suo svolgersi, il suo cercare limiti e soluzioni». Pace e guerra sono concetti speculari, due facce della stessa medaglia. (dall’introduzione di Rossella Cancila)
Rossella Cancila (a cura di)
n. 4**, Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII) – Tomo II
2007. - Palermo, - Associazione no profit Mediterranea,
ISBN: 88-902393-3-6