La macchina sanitaria genovese, accrescendo la propria efficienza e perfezionandosi nell’organizzazione, è divenuta nel XVIII secolo un vero e proprio patrimonio strutturale della Repubblica, vedendosi spesso assegnati compiti più ampi rispetto a quelli connessi al puro e semplice controllo profilattico. Sfruttando l’ambiguità insita nel concetto di insidia invisibile, non si può negare che gli Stati talvolta abbiano scelto contro quali potenziali vettori “visibili” del contagio rivolgere la propria azione. Gli stessi documenti dell’epoca, d’altronde, testimoniano la forte incidenza di considerazioni di ordine economico e politico nella gestione degli affari di Sanità. L’analisi che propongo, centrata sulla seconda metà del Settecento, ruota attorno a due temi: il primo è quello del contributo dato dal Magistrato di Sanità della Repubblica di Genova al controllo del territorio e all’affermazione della giurisdizione statale; il secondo è quello dell’influenza esercitata dalle pratiche sanitarie sulle dinamiche economiche del Mediterraneo occidentale. Le fonti archivistiche utilizzate provengono essenzialmente dai fondi Ufficio di Sanità e Archivio segreto dell’Archivio di Stato genovese.
Danilo Pedemonte