La Sicilia ha conosciuto già dalla prima metà del secolo XIX un «grande ritorno» dell’isola al ruolo di grande terra di cultura. Ruolo che essa ha più volte esercitato nel passato: da Amari a Gentile, da Verga a Pirandello, da Basile a Guttuso, numerosissimi i nomi dei protagonisti di questo «ritorno». Nello stesso tempo una grande trasformazione economica e sociale si produceva nell’isola, con grandi capitani d’industria come i Florio, con momenti di grande rilievo come i Fasci Siciliani. Siciliana è stata in gran parte la classe dirigente e di governo dell’Italia contemporanea. Eppure l’isola non è uscita da una condizione di minore sviluppo e di singolare, e talora deteriore, realtà civile rispetto ad altre regioni italiane. Ha covato la patologia criminale della mafia; si è chiusa nei suoi particolarismi, ai quali lo stesso conseguimento dell’ autonomia regionale ha finito col servire, più che essere servita; ha elaborato un suo particolare meridionalismo; ha accentuato fino a Sciascia la particolarità esistenziale del siciliano; ha bruciato in caotici e distorti sviluppi urbani ed agrari, produttivi e commerciali, le ripetute attese di crescita ripropostesi nel corso di un secolo e mezzo. Ma la Sicilia non è un mistero e non è un destino. È una grande vicenda umana, che si apre allo storico con una suggestiva ricchezza di forme e di individualità. Sicilia in Italia afferma questo in contrapposto a orgogli, a incomprensioni parimenti infondati, mostrando la molteplice problematicità della storia di una grande regione, il cui ingresso e la cui partecipazione alla modernità non sono reversibili.
Si ringrazia l’autore per avere autorizzato la messa on line del testo.