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8                                               Ernesto Galli della Loggia


                pianeta. Lo stesso dicasi dell’uso della tortura, della violenza e della
                guerra. La conquista, l’assoggettamento di altre popolazioni, la loro
                riduzione in schiavitù, sono state per secoli e secoli, per millenni, la
                regola universalmente seguita non solo dagli Europei ma da tutte le
                civiltà e i popoli della terra. Da tutte, a cominciare da quelle che oggi
                levano il dito accusatore contro «i bianchi».
                   La  tratta  dei  neri  verso  l’America  sarebbe  stata  impossibile,  ad
                esempio, se preliminarmente vaste reti di trafficanti arabi e alcuni re-
                gni indigeni africani non si fossero dedicati alla cattura di alcuni mi-
                lioni dei suddetti disgraziati nell’interno del continente, appunto per
                poi rivenderli ai negrieri inglesi, olandesi, francesi che li aspettavano
                sulla costa. Non si vede proprio perché, dunque, l’unanime condanna
                che oggi giustamente colpisce questi ultimi non debba estendersi an-
                che ai primi. Eppure non si vede mai l’indice degli attivisti o dei media
                o di qualche istituzione universitaria occidentale puntato verso la ci-
                viltà  islamica  o  verso  le  culture  indigene  africane  che  hanno  cono-
                sciuto (e le seconde conoscono ancora!!) la schiavitù né più né meno
                di quella cristiana e americana in specie. La vera differenza (peraltro
                decisiva) è stata nel fatto che a causa delle conoscenze scientifico-tec-
                niche che la civiltà europea è stata per quattro o cinque secoli l’unica
                a detenere, essa ha avuto una potenza di sopraffazione e di egemonia
                che nessun’altra civiltà ha avuto. Ma si può immaginare che in condi-
                zioni analoghe il regno del Dahomey o il bey di Tunisi si sarebbero
                comportati molto diversamente?
                   Questa mancanza di conoscenza e quindi di senso storico si è rive-
                lata assolutamente decisiva nella costruzione del paradigma della «vit-
                tima», a sua volta basilare sia per la nascita che per la legittimazione
                pubblica del «politicamente corretto». Questo infatti è sentito quale il
                giusto  riconoscimento  risarcitorio  per  i  torti  subiti  in  passato  da
                chiunque appartenga oggi a un gruppo sessuale, sociale, etnico o na-
                zionale (donne, omosessuali, neri, discendenti dei popoli abitanti delle
                ex colonie) oggetto di un simile torto. Non solo però è evidente che nella
                storia così come non esistono ragioni non esistono neppure torti, spe-
                cie se ascrivibili a qualcosa di così generico come le culture o le civiltà
                – ché altrimenti saremmo obbligati a fare la somma algebrica degli uni
                e degli altri e con il risultato compilare una grottesca classifica finale
                – ma è davvero bizzarro che il «politicamente corretto» chissà perché
                appaia sempre riguardare esclusivamente i torti, le sopraffazioni e le
                discriminazioni che hanno costellato il passato europeo e mai quello
                altrui.
                   Si dovrebbe tener fermo, insomma, che nella storia non possono
                trovare posto i nostri criteri morali attuali. Criteri morali attuali che
                noi tendiamo viceversa a proiettare anche nel passato: non solo perché





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Aprile 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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