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           dalla guerra, il re di Trinacria non sarebbe stato nelle condizioni adatte
           per dare ascolto alle parole del papa, prevedendo anzi che si sarebbe
           rifiutato di «audire monita pacienter», papa Benedetto paventava che il
           viaggio, durante le operazioni militari, fosse pericoloso per il legato. Il
           23 luglio rimise comunque la decisione sull’opportunità della missione
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           in Sicilia alla valutazione dello stesso Bertrand de Deux , il quale nono-
           stante tutto la effettuò.
              Tornato a Napoli, per informarlo sui risultati del viaggio, trasmise
           al papa la documentazione dell’ambasceria, comprese le risposte e le
           lettere di Federico. Benedetto XII il 29 settembre ne trasse la conclu-
           sione, prima facie, che non ci fosse da sperare in un buon risultato,
           perché il re siciliano non gli pareva mosso da recto zelo. Giacché Fede-
           rico aveva manifestato l’intenzione di inviare in proximo ad Avignone
           una ambasceria solenne, il pontefice chiese, per poter meglio delibe-
           rare, di ricevere l’intero incartamento (che così tolse dalle mani del
           legato), inclusi «instrumenta et alia scripta» che l’arcivescovo, «propter
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           viarum discrimina», non aveva spedito .
              Dopo la morte di Federico III, avvenuta il 25 giugno 1337, Roberto
           d’Angiò  informò  Benedetto  XII  sui  provvedimenti  conseguenti  che,
           come re di Sicilia, aveva disposto. Avendo risposto nel merito ai nunzi
           verbalmente, il pontefice per iscritto assicurò Roberto che non avrebbe
           consentito che gli fosse arrecato alcun pregiudizio e che lo avrebbe
           assistito per quanto possibile «cum Deo et honestate» .
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              Nell’interesse di Roberto d’Angiò, e a sua istanza, il 4 luglio 1338
           Benedetto nominò due legati apostolici, i quali senza procedere all’ac-
           certamento dei fatti, perché ritenuti notorii, istruirono un processo che
           nella contumacia dei siciliani, e quindi senza contradittorio, si concluse
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           solennemente a Roma, nella basilica di San Pietro, il 6 aprile 1339 . Il
           successore di re Federico, suo figlio Pietro II, già associato al trono e
           incoronato con l’approvazione del Parlamento, fu condannato per la
           violazione del trattato di Caltabellotta, benché avesse inviato ad Avi-
           gnone degli ambasciatori. Essi dovevano dichiarare la sua disponibilità
           ad adempiere tutti gli obblighi verso la Chiesa, e in particolare a pre-




              2  Ivi, n. 445, coll. 99 s.
              3  Ivi, n. 591, coll. 148 s.
              4  Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 132, f. 72r (n. 244); Benoît XII, Lettres closes
           et patentes intéressant les pays autres que la France cit., nn. 358, 1466, coll. 223, 426
           s.; O. Raynaldi, Annales ecclesiastici, XVI, Coloniae Agrippinae 1691, p. 56.
              5  S. Fodale, Benedetto XII e il nullum jus di Pietro II sulla Sicilia: le scomuniche e l’in-
           terdetto del 1339, in B. Pio (a cura di), Scritti di storia medievale offerti a Maria Consiglia
           De Matteis, Spoleto 2011, pp. 191-213.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018       n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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