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La nazione impossibile. Antiquaria e preromanità nella politica culturale delle due Sicilie 483
ebbe tre edizioni a Firenze e altrettante a Milano ed accompagnò sino
alla rivoluzione nazionale il dibattito attorno all’antichità della nazione,
sta a dimostrarlo.
Tuttavia, le fortune di Micali erano dovute anche all’indetermina-
zione della sua proposta, perché va da sé che insistere sull’autoctonia
e al tempo stesso sulla pluralità delle antiche genti italiche significava
favorire l’interesse dei sostenitori della Restaurazione senza per questo
rompere con il campo patriottico, che proprio sull’insieme delle diver-
sità poteva fare appoggio per comunque sviluppare un discorso nazio-
nale. Insomma, delle fatiche di Micali fu presto possibile fare un uso a
largo raggio: gli uomini della Restaurazione trovavano in quelle pagine
la legittimazione della presenza di molteplici stati italiani, il movimento
nazionale, invece, plaudiva alla raffigurazione dell’unità culturale della
penisola, che gli pareva un naturale presupposto per il recupero del-
l’indipendenza. In ogni caso, la linea di tendenza fu quella di avviare
una serrata critica nei confronti del celtismo, nell’Ottocento presto
lasciato cadere perchè direttamente correlato a una Francia della quale
sempre meno si sopportava la primazia politico-culturale. Le critiche
si erano fatte vivaci sin dagli anni napoleonici, quando alla pretesa di
taluni di rilanciare sul punto, per accostare ancor di più la penisola al
possente vicino, si era tenuto fermo, con Cuoco e Micali appunto, sul
tema dell’autoctonia, ma sarebbero proseguite nella stagione risorgi-
mentale per raggiungere forma compiuta proprio in terra di Lombardia,
dove, negli stessi anni Quaranta, Carlo Cattaneo avrebbe avuto parole
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durissime nei confronti della loro invasione e Angelo Mazzoldi avrebbe
rilanciato sull’identità etrusca della regione come del resto della peni-
sola e sul ruolo di quella gente nella diffusione della civiltà lungo tutto
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il mediterraneo . Il rilancio sul terreno dell’autoctonia avrebbe al tempo
6 «Ben altra sarebbe l’istoria d’Europa e tanti secoli non sarebbero tarscorsi sterili e
ciechi alle genti del settentrione, se gli Etruschi avessero propagate sin d’allora lungo il
Reno e il Danubio quel loro vivajo di città generatrici di città. Il principio etrusco era
diverso dal romano, perché federativo e moltiplice poteva ammansare la barbarie senza
estinguere l’indipendenza; e non tendeva ad ingigantire un’unica città, che il suo stesso
incremento doveva snaturare, e rendere sede materiale d’un dominio senza nazionalità».
C. Cattaneo, Notizie naturali e civili su , Bernardoni, Milano, 1844, p. XXX
7 «Fisso nel mio proposito di pigliare per guida i soli antichi e non leggere i moderni,
se non quando la successione dei fatti fosse già chiarita e ordinata, onde non essere tra-
viato da alcuna delle tante contraddittorie ipotesi su cui s’aggirarono in fino ad ora tutte
le ricerche, quale non fu la mia meraviglia nel trovare, compiuta ormai la presente opera,
nel Guarnacci, forse il più rozzo, ma certamente il più giudizioso scrittore fra quanti trat-
tarono queste materie, già posto il principio che i Pelasgi che resero civile , fossero Tirreni
partiti d’Italia?». A. Mazzoldi, Delle origini italiche e della diffusione dell’incivilimento ita-
liano all’Egitto, alla Fenicia, alla Grecia e a tutte le nazioni asiatiche poste sul Mediterraneo,
Guglielmini e Redaelli, Milano, 1840, p. 8.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)