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           ossia al momento dell’unione dei due stati meridionali nel Regno delle
                      21
           Due Sicilie .
              A questo proposito, sia il caso solo di ricordare come cadesse presto
           sulle loro teste il macigno della fallita svolta costituzionale del 1820: se
           d’un lato la scelta di adottare la costituzione di Cadice sembrava l’atto
           conclusivo  di  una  prospettiva  nazionale  dischiusa  dalla  nascita  del
           nuovo regno, che era destinato, negli auspici di quanti avevano apprez-
           zato la mancata repressione verso i precedenti sostenitori dei napoleo-
           nidi, a presentarsi quale il primo stato d’Italia anche sotto il profilo della
           modernità politica. La repressione che seguì all’ottimestre costituzionale,
           nonché le pretese secessioniste di larga parte delle élites siciliane sin dai
           pochi mesi di esercizio della costituzione e ancor più negli anni subito
           successivi, avrebbero reso impervio il cammino sulla via di una compiuta
           nazionalizzazione, senza però arrivare a del tutto interromperlo, perché
           – di certo nel 1848 e per certi versi financo nel 1860 – l’ipotesi di una
           centralità napoletana nel quadro di ogni ipotesi di rinnovamento politico
           della penisola in chiave “italiana” mai venne del tutto meno.
              L’opera di Nicola Corcia tutto questo riassume: i quattro tomi, pub-
           blicati tra il 1843 e il 1852, dunque a cavaliere di quella rivoluzione
           del 1848 nei cui drammatici sviluppi si collocarono prima l’apice delle
           prospettive “italiane” del regno e quindi il loro pronto inabissarsi a
           fronte di una politica di raccolto reazionarismo, segnalavano la ricerca
           di un precedente storico per il nuovo regno delle Due Sicilie, di cui pro-
           prio il passato greco, civilizzatore della stessa Roma, pareva esemplare
           una tradizione unitaria di lunga data nel Mezzogiorno e al tempo stesso
           legittimare anche la pretesa dei Borbone a proseguire un percorso in
           solitario sulla via della nazionalizzazione.
              La centralità di Napoli nel contesto italiano, che si manterrà anche
           dopo il 1860 nella richiesta di farla capitale del nuovo stato sorto sulle
           ceneri delle Due Sicilie, sarebbe però stata minata dai dissensi interni
           allo stesso campo meridionale, perché proprio l’infausto esito del 1848
           consentì ai gruppi di potere siciliani – che pure nelle prime fasi della
           rivoluzione nazionale erano stati condannati in tutta la penisola come
           dei pericolosi secessionsiti – di vantare la benemerenza di avere sempre
           combattuto, sin dal 1816, il dispotismo dei Borbone e di essere dunque,
           agli occhi del movimento nazionale, il vero punto di riferimento nel Mez-
           zogiorno. Non è casuale che la proposta di Corcia andasse incontro ad
           aspre critiche in terra di Sicilia, dove quella lettura in chiave unitaria
           dell’esperienza storica del Mezzogiorno sembrava umiliare una specifi-
           cità isolana formatasi nel lontano  occasione del Vespro e violentemente



              21  A questo riguardo, utili considerazioni sulla storiografia “nazionale” delle Due Sici-
           lie in A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, il Mulino, Bologna 1996.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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