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624 Emanuele Pagano
Almeno un centinaio di sudditi lombardi poté così essere riscattato
con il contributo pubblico, integrale o parziale.
Dai tardi anni Sessanta del XVIII secolo una nuova discontinuità
appare, frutto di un mutamento generale, geopolitico, tecnologico, cul-
turale: la diminuzione delle catture (sudditi milanesi compresi) anche
per il progressivo disarmo delle galee e la conseguente minore neces-
sità di rematori; il lento arretramento della potenza ottomana e lo sta-
bilirsi di meno instabili accordi bilaterali tra la Casa d’Austria, Costan-
tinopoli, le Reggenze barbaresche; una crescente ostilità della cultura
di governo verso il clero regolare, nel quadro più ampio della nuova
politica ecclesiastica di marca regalista e anticuriale. La soppressione
di monasteri e conventi non risparmiò i trinitari milanesi, i cui beni e
oneri furono avocati allo Stato. Il riscatto dei sudditi bisognosi passava
ormai dai gangli della burocrazia regia che si appoggiava ancora in
parte al clero diocesano per l’identificazione dei sudditi in cattività e
per la raccolta delle offerte. La gestione statale dell’opera del riscatto,
ispirata ai principi del riformismo giurisdizionalista, se riuscì efficace
sul piano della diplomazia e delle comunicazioni, non sembrò esem-
plare sul piano economico-finanziario, almeno in occasione di alcuni
poco fruttuosi negoziati nell’ultimo decennio prerivoluzionario.
In ogni caso, quando il sistema assistenziale pubblico – religioso o
civile che fosse – veniva meno, come sembra abbastanza evidente an-
che nella crisi finale dell’Ancien Régime lombardo, non è difficile im-
maginare che toccasse di nuovo ai privati, alle famiglie, se ne erano
capaci, reperire i mezzi e i contatti necessari per liberare i propri cari
da una schiavitù vissuta e rappresentata come angosciosa, per gli
stenti del corpo e per i pericoli dell’anima.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)