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Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 269
Cinque anni dopo, nel 1662, moriva la moglie Francesca Agliuzzo.
Disponeva che il suo cadavere, in attesa che fosse definitivamente
tumulato nella cappella che il marito stava costruendo nella chiesa dei
domenicani, fosse lasciato in deposito nella chiesa del convento di San
Francesco, dove erano sepolti i suoi genitori. Designava suoi eredi uni-
versali il fratello Modesto e il pronipote Ottavio Agliuzzo, del quale
insieme col marito aveva la tutela e al quale aveva fornito gli alimenti
(quasi certamente lo aveva allevato personalmente) da quando nel 1657
la madre Francesca Rexifina si era risposata con il notaio Francesco
Alfano di Petralia Sottana, dove si era trasferita. Al marito, che oltre
alla dote di onze 700 le doveva onze 200, ordinava che su quest’ultima
somma costituisse una rendita annua di onze 1.18 (capitale onze 32
al 5 per cento) al convento di San Francesco per la celebrazione setti-
manale di una messa letta, che dopo la tumulazione definitiva del suo
cadavere sarebbe stata celebrata nella nuova cappella della chiesa dei
domenicani. Sulle onze 200 dovutele, legava a lui onze 40, al pronipote
Ottavio onze 50 e ai conventi dei cappuccini, di Santa Maria delle Gra-
zie sub vocabulo di Liccia, di Sant’Antonino e San Domenico onze 2
ciascuno. Gaspare le doveva ancora la restituzione di un prestito di
altre onze 200, che essa ordinava si trasformassero in immobili o in
una rendita di onze 20 l’anno a carico del marito, il cui usufrutto
sarebbe stato goduto da Ottavio e quindi dai suoi successori oppure,
in assenza di suoi eredi, dalla Comunia dei sacerdoti per la celebra-
zione di messe per la sua anima e per quella del marito. Lasciava onze
20 della sua dote a Mario Agliuzzo, figlio naturale del suo defunto fra-
tello Carlo. Col denaro contanti da lei lasciato si dovevano acquistare
200 pecore, da concedere annualmente in gabella a favore di Ottavio
e, perdurando nella condizione di vedovo, di Gaspare, alla cui morte
sarebbe subentrato Ottavio interamente. Lasciava infine a Ottavio le
23 vacche che teneva al pascolo presso la mandria di Giovanni Failla
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e che voleva si vendessero per acquistarne immobili .
Gaspare Abruzzo sopravvisse alla moglie altri 12 anni, ma alla sua
morte nel 1674 non aveva risolto i suoi problemi finanziari, se ancora
che il 5 agosto 1661 Gaspare non aveva ancora del tutto saldato il debito al fratello e
doveva un residuo di onze 31.20. L’ipoteca riguardava i seguenti beni che Gaspare
aveva in comune con Baldassare: la grande casa, in diversi corpi, già del nonno Pietro
Paolo e del padre Ottavio, nella piazza di Castelbuono, confinante con la casa della
nipote Anna Vittimara n. Ruberto e con quella di Zenobio Gerardi; la casa del quartiere
Vallone (ex casa Granozzo), confinante con la casa delle cappelle del Santissimo Sacra-
mento e del Santissimo Crocifisso; gli uliveti in territorio di Pollina. Agliuzzo ipotecava
la sua parte del vigneto in comune con il fratello Modesto, in contrada Rocca Lupa (ter-
ritorio di Pollina).
97 Ivi, b. 2454, 13 ottobre 1662, cc. 55 sgg.
n.43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)