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Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento  267



             lo coinvolse in una vertenza col Sant’Uffizio che lo costrinse forse anche
             a un periodo di latitanza. Nel 1636 cumulava un patrimonio netto di
             onze  401:  oltre  agli  immobili  di  Petralia  in  comune  con  la  madre,
             dichiarava il possesso di una grande casa di undici vani nel quartiere
             Fera, limitrofa a quella del suocero, che faceva parte della dote della
             moglie Francesca Agliuzzo, e ancora un uliveto di 400 ceppi in territorio
             di  Pollina,  contrada  Mulino,  del  valore  di  onze  220,  acquistato  in
             diverse partite nel biennio precedente e ancora in parte da pagare. Pos-
             sedeva inoltre 34 vacche figliate, 15 vitelloni, 160 pecore e capre, 2 giu-
             mente, 1 cavallo e crediti a minuto per onze 12. A distanza di parecchi
             anni però doveva ancora per resto di dote onze 35 al cognato Di Mar-
             tino e onze 30 al cognato Di Vittorio, oltre a onze 16 a Giuseppe Muxia
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             per l’acquisto di seta . Eppure doveva disporre di una buona liquidità,
             se nel 1634 era stato in condizione di prestare onze 420 al marchese
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             Francesco III .
                E c’è da chiedersi che fine avesse fatto il resto della dote di France-
             sca, che ammontava a onze 700: oro, argento, mobili e utensili di casa
             (onze 200); contanti (onze 300); la grande casa nel quartiere della Fera
             dove abitava, valutata allora onze 200 92  e che invece nel suo rivelo egli
             valutava appena onze 78 e tarì 27, capitalizzando al 7 per cento il pre-
             sunto canone di locazione di «onze cinque e tarì 15 l’anno, franca di
             conzi». E dov’era finito l’oro e l’argento di Francesca, di cui non c’è trac-
             cia nel rivelo? Si ha una ulteriore conferma che i valori dei riveli del
             1636 erano ormai molto sottostimati e che la pratica della occultazione
             di beni era alquanto diffusa.
                Nei diciotto anni successivi il dottor Gaspare riuscì comunque a
             quadruplicare il suo patrimonio netto, che nel 1652 ammontava a onze
             1658, senza contare i mille ulivi nella contrada Mulino di Pollina, che
             nel 1646 aveva donato al fratello sacerdote Baldassare come aumento
             del patrimonio sacerdotale. La sua ricchezza non consisteva tanto negli
             immobili  (l’abitazione  del  quartiere  Fera  della  moglie  e  metà  della
             grande casa del quartiere Vallone che la madre gli aveva lasciato in
             comune con Baldassare), quanto nei beni mobili: oro e argento per onze
             60, 3 cavalli, 5 giumente d’armento, 10 muli, 2 somari, 52 buoi, 56
             vacche d’armento, 10 vitelloni, 7 vitelli, 600 pecore, 200 porci, salme
             40 di grano, 15 di orzo e 3 di ceci e fave seminati in territorio di Petralia.
             Era stato costretto però a contrarre dei mutui per complessive onze





                90 Trp, Riveli, 1636, b. 952, cc. 424 sgg.
                91 Cfr. Asti, notaio Francesco Prestigiovanni, b. 2311, 28 dicembre 1634, c. 199r.
                92 Asti, notaio Bartolomeo Bonafede, b. 2454, 13 ottobre 1662, c. 56r: testamento di
             Francesca Abruzzo.


             n.43                            Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018
                                                      ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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