Page 64 - Mediterranea 43
P. 64

270                                                      Orazio Cancila



           non era riuscito a ultimare la cappella funeraria nella chiesa del con-
           vento di San Domenico sotto titolo del SS. Rosario, dove doveva essere
           tumulata la moglie e dove anche lui disponeva di esserlo. E se era stato
           costretto a lasciare in pegno per onze 30 all’arciprete di Geraci una
           catena d’oro del nipote Ottavio Agliuzzo, che voleva fosse recuperata
           (spignorata) dagli eredi e consegnata al legittimo proprietario. In attesa
           che i suoi eredi universali (la nipote Anna Ruberto, vedova dell’uid
           Tommaso Vittimara, per un sesto; la sorella Antonina, vedova di Giu-
           seppe Leto, per un sesto; la nipote Barbara Di Vittorio, moglie del
           barone di Mandralisca Mario Piraino, per due sesti; i pronipoti figli del
           defunto nipote Pietro Ottavio Giaconia, per due sesti) entro due anni
           dal giorno della sua morte completassero la cappella, con una spesa
           di onze 50 a carico dell’eredità, disponeva che il suo corpo fosse lasciato
           in deposito nella stessa chiesa dei domenicani. Gli eredi avrebbero pro-
           ceduto alla divisione dei suoi beni alla fine dell’anno, dopo aver liqui-
           dato  le  spese  della  mandria  di  pecore  e  saldato  tutti  i  debiti  nei
           confronti dei lavoratori e di altri creditori. Istituiva fedecommissario il
           pronipote uid Pietro Paolo Vittimara e gli lasciava tutti i suoi libri di
           medicina e di filosofia, eccetto i due libri di Marsilio Ficino e di Giovanni
           Schembri, che legava al medico Andrea Leto, altro suo nipote, e il libro
           della Bibbia, che legava al padre francescano Bonaventura Bonafede.
           Dichiarava infine che nella sua mandria di pecore teneva 200 pecore
           di  Ottavio  Agliuzzo,  al  quale  dovevano  essere  consegnate  alla  sua
           morte; e che le mucche che pascolavano nei feudi da lui tenuti in affitto
           appartenevano, tranne due, allo stesso Ottavio che le aveva ereditate
                                                           98
           dal nonno Mariano e dal prozio Modesto Agliuzzo .
              Gaspare non lasciava eredi diretti (il figlio Diego era deceduto nel
           1627)  e,  con  la  sua  morte,  il  ramo  castelbuonese  degli  Abruzzo  si
           estinse.











              98 Asti, notaio Antonino Neglia, b. 2507, 2 ottobre 1674, cc. 49r sgg. L’inventario post
           mortem, redatto il 10 ottobre dal notaio Gian Paolo Agrippa di Castelbuono – i cui atti
           sono erroneamente inventariati tra quelli dei notai di Collesano – registra, tra l’altro,
           «molti libri di medicina, circa altri cento libri legati a Pietro Paolo Vittimara, oro, argento
           e, tra i tanti, «un quadro dell’Epifania con cornice negra di piro dello Racalmutisi ad olio»,
           che  viene  dunque  ritenuto  dagli  estensori  dell’inventario  opera  del  Monocolo  di
           Racalmuto Pietro d’Asaro» (R. Termotto, La conduzione del feudo Cava tra XVII e XVIII
           secolo, in Giuseppe Antista, Architettura e arte a Geraci (XI- XVI secolo), Geraci Siculo,
           2009, pp.155- 163).



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018       n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
   59   60   61   62   63   64   65   66   67   68   69