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                della Fim-Cisl – da una parte la condanna per le condizioni di lavoro
                di questi giovani arabi, ma anche il timore di un’«integrazione impos-
                sibile» e di un clima di diffidenza che si stava diffondendo nei loro con-
                fronti. Tuttavia era palese l’inevitabilità del loro arrivo, dovuto alla «ri-
                chiesta di una manovalanza disposta al cottimo, a un orario di lavoro
                che arrivava a 14 ore ogni giorno»: il loro obiettivo era lavorare il più
                possibile per raggranellare soldi da mandare a casa e dunque accetta-
                vano  qualsiasi  condizione  di  lavoro,  anche  non  regolare .  In  una
                                                                         35
                realtà sociale e politica come quella di Reggio Emilia, non mancarono
                gesti di solidarietà, e se in un primo tempo gli enti amministrativi ter-
                ritoriali (tra cui il comune) sottovalutarono il problema, sono da ricor-
                dare  le  azioni  volontarie  di  alcuni  cittadini.  Livia  Menozzi  Villa,  ad
                esempio,  organizzò  in  città  un  centro  di  assistenza,  adattando  una
                casa colonica di sua proprietà; dichiarava al giornalista che la intervi-
                stava: «Diventerà un punto d'appoggio per chi arriva; non possiamo
                continuare  nell'incertezza,  non  possiamo  consentire  che  i  giardini
                pubblici della città diventino il primo centro di smistamento per gli
                egiziani che arrivano» . Il «Corriere della Sera» pubblicò nel 1979 una
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                inchiesta a puntate, redatta dai giornalisti Renato Ferraro e Mino Vi-
                gnolo, dedicata all’immigrazione straniera nelle varie città italiane, in
                cui ben emergeva come gli stranieri svolgessero i lavori «rifiutati, pe-
                santi e rischiosi» ; soprattutto, a loro avviso, la Questura non mo-
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                strava ostilità nei confronti di coloro che svolgevano onestamente il
                proprio lavoro, anche se arrivati clandestinamente in Italia, tanto è
                vero che i fogli di via risultavano pochissimi .
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                   Nonostante  gli  atti  di  solidarietà  e  le  scelte  individuali,  ciò  che
                emerge dalle pagine dei giornali è la preoccupazione che l’immigra-
                zione straniera potesse acuire il disagio sociale e che gli stranieri, viste
                le loro condizioni di vita e di sfruttamento sul luogo di lavoro, potes-
                sero diventare elementi destabilizzanti di una società già particolar-
                mente fragile . A fronte del problema, è poi da sottolineare la man-
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                canza di alcun programma governativo di regolarizzazione degli immi-
                grati ormai inseriti nelle attività produttive. Anzi, gli anni che vanno
                dal 1978 al 1986 furono segnati da una confusa e contraddittoria al-
                ternanza di circolari, disegni di legge, decreti governativi che anziché


                   35  Ivi.
                   36  Ivi.
                   37  R. Ferraro, M. Vignolo, Lavoro nero con visto turistico, «Corriere della Sera», 1°
                agosto 1979.
                   38  R. Ferraro, M. Vignolo, Come sopravvivere da “negro” a Milano,  «Corriere  della
                Sera», 20 agosto 1979.
                   39  Si vedano anche le inchieste pubblicate il 14 settembre 1981 sulla rivista «Pano-
                rama» e il 27 febbraio 1983 su «L’Espresso».



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Aprile 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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