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Scrivere l’altro. Una ricerca in corso sulla costruzione delle differenze... 331
la pelle nera ; e infine, il 12 agosto 1670, Iohannes Georgius Graecus
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levantinus un suo coetaneo con trascorsi a Messina, in servizio presso
Filippo del Bufalo .
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Nel caso di Jacobus, dunque, il colore nero fu considerato un ele-
mento da segnalare nella descrizione, ma senza rilevanza anagrafica,
forse proprio in virtù del battesimo in fasce. Nella restitutio 4 a essere
nere furono soprattutto le Indie; qui, e nella successiva patente (5) la
menzione della nascita cristiana entrò in azione secondo uno schema
simile a quello evidenziato per Jacobus, quindi come semplice dato
fisico. Niger si presenta senza ulteriori aggettivi nel n. 12, dove la con-
versione è resa evidente dall’intestazione della patente e dalla men-
zione del battesimo. L’unica donna, al n. 8, è anche la sola, insieme a
tal Isabella Afra (28 settembre 1573, cristiana alla nascita e transitata
prima per Napoli e poi pellegrina alla basilica di s. Pietro ), per la
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quale manchi la formulazione honesta mulier, di norma presente per
le schiave non giovanissime fino agli anni Venti del Seicento. Una qua-
lifica morale, assente per gli uomini per i quali ci si limitava a vir o a
iuvenis a seconda della età, e che rispondeva a ovvie urgenze di con-
trollo sul corpo delle donne e sulle loro vite .
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Il colore nero, in verità, fu segnalato più di frequente nelle descri-
zioni morfologiche, spesso insieme alla qualificazione in nero anche
della barba e dei capelli, quasi a voler indicare gradazioni epidermiche
che non richiedevano maggiori specificazioni, forse perché percepite in
maniera ancora diversa da quelle sopra elencate. La scala cromatica
delle restitutiones spaziava da un vago marrone/olivastro fino al nero
di niger e i notai/scrittori restavano liberi di decidere se farvi ricorso o
meno; la pelle fu raccontata soltanto in 271 casi, nonostante i funzio-
nari si fossero ricordati di segnalare la statura di ben 422 emancipandi
e i segni particolari (menomazioni, cicatrici, marchi a fuoco) di 126.
Queste diciture compaiono talvolta appaiate e sovrapposte, talaltra in
maniera autonoma, a riprova della rilevanza parziale della descrizione
fisica in questa tipologia documentaria. I titolari di queste patenti ot-
tenevano la libertà perché avevano completato un percorso di reden-
zione individuale, che veniva raccontato puntualmente attraverso la
49 Cred. 11, t. 21, cat. 0838, strag. 97, c. 184r.
50 Cred. 11, t. 22, cat. 0838, srag. 98, c. 91r.
51 Cred. 11, t. 17, cat. 834, c. 328.
52 R. Sarti, Bolognesi schiavi dei “Turchi” e schiavi “turchi” a Bologna tra Cinque e
Settecento: alterità etnico-religiosa e riduzione in schiavitù, in «Quaderni storici», 107
(2001), pp. 437-473; Ead., Viaggiatrici per forza. Schiave “turche” in Italia in età mo-
derna, in Altrove. Viaggi di donne dall’antichità al Novecento, a cura di Dinora Corsi,
Viella, Roma, 2009, pp. 241-296; e ora anche Schiave e schiavi. Riflessioni storico-giuri-
diche, a cura di Alessandra Bassani e Beatrice Del Bo, Giuffrè, Milano, 2020.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)