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Scrivere l’altro. Una ricerca in corso sulla costruzione delle differenze...   333


                       Pur  nella  loro  frammentarietà  e  discontinuità,  le  giustificazioni,
                    dunque, sottolineano due dati importanti: da una parte, emerge con
                    chiarezza come, nella Roma dei primi del Settecento, la dicitura niger
                    non fosse in automatico sinonimo di schiavo; dall’altra – e in parallelo
                    con questa prima considerazione –, segnala quanto, però, questo ele-
                    mento costituisse un fattore da rilevare separatamente nell’elabora-
                    zione  burocratica.  La  qualifica  di  niger  fu  attribuita  a  un  piccolo
                    gruppo di schiavi che, proprio in virtù di questo elemento, venivano
                    percepiti in maniera diversa, e più specifica: si trattava di un’informa-
                    zione supplementare, inutile sul piano giuridico e che li connotava al-
                    terizzandondoli rispetto all’insieme generale dei mori e dei turchi. Nella
                    massa dei forestieri e dei diversi che attraversa quotidianamente la
                    città, i neri potevano stupire, ma di loro a interessare, alla fine, era la
                    scelta religiosa e la posizione sociale che questa avrebbe comportato.
                    Si trattava di un titolo accessorio, privo di immediate ricadute sullo
                    status di chi se lo trovava inciso nella documentazione ma, comunque,
                    non neutro. Proprio perché discrezionale, tale precisazione rispondeva
                    alla sensibilità di chi redigeva i documenti, che, in questo modo, ma-
                    nifestava la propria esigenza di identificare questi schiavi emancipati
                    classificandoli in maniera permanente come altri sin dal momento in
                    cui veniva loro concesso l’ingresso nella comunità dei cives romani in
                    quanto cristiani.
                       Una volta spostata in ambito non coloniale e imperniata sui tempi
                    e sui modi del riconoscimento dell’agency agli esclusi, la riflessione sul
                    costrutto gerarchico della differenza porta alla luce le ansie, le curio-
                    sità e i pregiudizi del gruppo di maggioranza da una prospettiva inu-
                    suale . L’annullamento formale della differenza portava con sé la ne-
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                    cessità di farci i conti e chiamava in causa la relazione sempre squili-
                    brata con l’alterità, resa ancora più presente (e forse più angosciante)
                    dal  continuo  e  inarrestabile  allargamento  del  mondo.  Scrivendo  ciò
                    che consideravano e vivevano come diverso, i notai finivano per rac-
                    contare qualcosa di sé e del modo in cui si confrontavano con la com-
                    plessità del loro tempo. Se a Roma la qualifica di niger indicava una
                    parziale condizione alienante legata a un dato ritenuto oggettivo, era
                    chiaro a tutti che in altri luoghi l’uso di quella stessa parola nella do-
                    cumentazione avrebbe implicato minorità giuridiche assai pesanti e,
                    anche per questo, l’attribuzione della qualifica risultava frutto di una





                       57  Un punto metodologico convincente proprio sulla relazione con gli spazi coloniali
                    sulle definizioni razziali in prospettiva storica è ora in J.F. Schaub, Race is about politcs,
                    Princeton University Press, Princeton, 2019.


                                                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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