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678                                  Fabrizio Filioli Uranio, Gaetano Sabatini



           Introduzione

              La storiografia si è a lungo interrogata sulla schiavitù: trattandosi
           di un istituto che affonda le sue radici nell’epoca classica, la pratica
           della schiavitù è passata attraverso trasformazioni, non solo dal punto
           di vista degli ordinamenti cui era sottoposta e che ne garantivano de
           iure l’esistenza, ma anche dal punto di vista delle dimensioni. È ben
           noto che con l’allargamento dei confini geografici che segna la fine del
           Medioevo una sempre crescente quantità di manodopera viene ridotta
           in condizione schiavile, ma mentre fino ad ora è stato molto esplorato
           il campo di studio legato alla schiavitù atlantica, non altrettanto si può
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           affermare per il mondo mediterraneo . Un’attenta analisi del fenomeno
           ci mostra come il Mare Nostrum nel corso dell’età moderna non solo
           calamitava una parte dei flussi di schiavi altrimenti destinati maggio-
           ritariamente alle Americhe, ma anche era popolato di schiavi “indigeni”,
           originari delle stesse sponde mediterranee. Questo fenomeno raggiunse
           in età moderna dimensioni non trascurabili: si calcola che tra il 1500
           e il 1800 in Europa abbiano vissuto e prestato il loro servizio circa dieci
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           milioni di schiavi .
              Se è cosa per lo più nota la maniera in cui questi uomini e queste
           donne cadessero in schiavitù, e conosciamo anche in che modo questi
           individui potevano essere riscattati, molto meno ci si è interrogati su
           cosa gli schiavi rappresentassero. Erano una merce e come tale erano
           soggetti a certe regole di mercato (incontro tra domanda e offerta, scar-
           sezza del bene, ecc.) ma, allo stesso tempo, erano una merce molto par-
           ticolare. Potevano infatti avere la prospettiva di essere liberati, di essere
           riscattati dalla loro condizione di cautivos e, proprio per questo, pote-
           vano esercitare un potere di contrattazione attivo affinché si addive-
           nisse a un accordo per la loro liberazione. Gli schiavi costituivano
           quindi una sorta di merce attiva, il cui valore era espressione non solo
           delle logiche di mercato, ma anche di una psico-sociologia dei prezzi,
           su cui sino ad ora non ci si è soffermati con sufficiente attenzione.
              La storiografia si è finora avvalsa - quando l’ha fatto - solamente di
           un approccio al problema di tipo econometrico e statistico, facendo
           rientrare gli schiavi in una categoria di merce standard, senza eviden-
           ziare tutti i livelli di contrattazione che venivano messi in atto per la
           definizione finale del prezzo di un uomo. Solo a partire dal 2008 Michel
           Fontenay ha finalmente operato una distinzione tra il valore d’uso e il
           valore di scambio di uno schiavo, definizione sulla quale hanno poi con-



              1  A tal proposito si rimanda per lo più a: S. Bono, Schiavi. Una storia mediterranea
           (XVI-XIX secolo), Il Mulino, Bologna, 2016.
              2  Ivi, passim.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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