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Una strada, due regge, una mappa: la committenza di don García Álvarez de Toledo 557
proprietà del celebre tipografo-editore Giovan Matteo Maida, che sor-
geva giusto di rimpetto alla porta grandi dell’ospedale ospitato nel tre-
centesco palazzo Sclafani, all’estrema propaggine del piano del Pa-
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lazzo . Le parole di Toledo non dovettero cadere nel vuoto: nonostante
i più alti importi approvati concordemente dai maestri estimatori,
Maida alla fine si accontentò di solo 600 onze, e ciò in conseguenza
delle pressioni esercitate su di lui dal Presidente Aragona Tagliavia,
intenzionato come sempre a compiacere il viceré, accettando infatti un
prezzo «accordatum inter ipsum Illustrissimum Presidentem, ut asse-
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ritur, et dittum magnificum de Maida» . Con la demolizione di quei
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modesti fabbricati, già programmata da Vega , la piazza di cui quel vi-
ceré aveva avviato l’apertura – si pensi al tanto deplorato spianamento
della normanna Sala Verde 36 – sarebbe stata ulteriormente allargata,
offrendo così una prospettiva più ampia e una vista più decorosa alla
sede vicereale.
33 Come da consuetudine si procedette separatamente alla valutazione estimativa,
da un lato, del terreno e delle strutture murarie che vi sorgevano, dall’altro, di tutti gli
elementi lignei degli stessi fabbricati, quali infissi, solai, coperture e tettoie, stime effet-
tuate rispettivamente dai maestri di muro Ambrogio Casella, Guglielmo Ardizzone, Gio-
vanni Miraglia e Angelo Davì, i primi due in rappresentanza della Corte e gli altri di
Maida, e dai falegnami Jacopo Bosco e Paolo Maziotta, anch’essi per conto delle due
parti; Aspa, Notai defunti, Giuseppe Fugazza, reg. 6792, cc. 707v, 710r.
34 Così viene espressamente riportato nel contratto con cui venivano venduti, alla
metà di febbraio del 1567, a conclusione di un’asta pubblica indetta dalla Corte, i mate-
riali edili provenienti dalla demolizione, già nel frattempo avvenuta, dell’isolato; ivi, c.
1200r.
35 Che quella demolizione fosse stata pianificata già da Vega, intenzionato ovviamente
a dichiararne l’inedificabilità dell’area di sedime, è lo stesso don García a rivelarlo: «il
signor don Giovanni di Vega, havendo il medesimo disegno di far rovinar dette case, fece
ordine espresso che in quel luogo non si potesse fabricare di nuovo e che le dette case
non si potessero redificare»; Lettere di don García cit., f. 264v.
36 Mi riferisco per comodità all’edizione in italiano del De rebus siculis Decades Duae
(Palermo 1558) in cui Tommaso Fazello lamenta la parziale demolizione nel 1549 del-
l’antico edificio e il successivo integrale spianamento avvenuto cinque anni più tardi:
«Innanzi alla rocca era già un cortile detto a quel tempo Sala, ma hoggi chiamato Sala-
verde, il quale è largo, spatioso, e tanto grande, che vi si potevan far dentro spettacoli, e
giochi, e già i Re facevan quivi le concioni al popolo. Tutto il pavimento era fatto di
marmo, e ‘l muro, che lo circondava verso mezogiorno era al mio tempo tutto intero, e vi
si vedeva dentro una meravigliosa grandezza di sassi, et una bellissima antichità di
Palermo, ma la poca consideratione, e la ignorantaggine de’ Ministri de’ Re, sono state
cagione della sua rovina, peroche l’hanno rovinato per servirsi di quei sassi nella fabrica
delle nuove muraglie, il che fu l’anno MDXLIX [...]. La piazza del detto Theatro al mio
tempo s’arava, e si zappava, e i contadini spesso s’imbattevano in qualche bella lastra
di marmo. Ma l’anno MDLIIII fu tutta quanta insabbionata, e col cilindro fatta eguale, e
spianata»; T. Fazello, Le Due deche dell’Historia di Sicilia... tradotte dal Latino in lingua
Toscana da P.M. Remigio fiorentino, appresso Domenico e Giovan Battista Guerra, Vene-
zia, 1573, pp. 246-247.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)