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                    Il 21 aprile 2013, l’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, martirizzato
                 dai protestanti nei Grigioni nel 1618, è stato beatificato dalla Santa
                 Sede, poche settimane dopo l’elezione di papa Francesco. Il nuovo pon-
                 tefice argentino ha raccolto l’esito di un procedimento che ha ricevuto
                 un impulso determinante sotto il governo di Benedetto XVI, dopo che,
                 già nel 1994, il vescovo di Como Alessandro Maggiolini aveva riaperto
                 la causa di canonizzazione in suo onore. In effetti, nel corso del ponti-
                 ficato di papa Ratzinger, nel 2009 i consultori teologi della Congrega-
                 zione per le cause dei santi avevano riconosciuto i caratteri di martirio
                 per la fede di Rusca, nel 2011 la sessione ordinaria dei cardinali e dei
                 vescovi dello stesso dicastero aveva terminato la causa con voto favo-
                 revole e, nel dicembre dello stesso anno, il pontefice tedesco aveva
                 autorizzato la promulgazione del decreto che lo riconosceva martire per
                 la fede.
                    La constatazione del grave ritardo accumulato dalla causa di santità
                 di Rusca, ma anche del suo sorprendente recupero contemporaneo,
                 sembra confermare un’intuizione fondamentale che ha guidato il rin-
                 novamento degli studi di storia della santità degli ultimi quarant’anni,
                 vale a dire il nesso che intercorre tra agiografia e storiografia. Infatti,
                 l’analisi dei processi di formazione e di svolgimento dell’agiografia sei-
                 centesca, spesso lunghi e tormentati come quelli di Rusca, consente di
                 approfondire  la  nascita  del  cosiddetto  «mito  tridentinista»  che  avrà
                 lungo corso sino ai nostri giorni. Esso consiste in una lettura dell’età
                 della Controriforma funzionale a consegnare un’immagine rassicurante
                 della Chiesa cattolica dell’età moderna, in cui il papato, l’Inquisizione
                 romana e i vescovi sarebbero stati tre campi di forza armonizzati dallo
                 spirito riformatore del Concilio di Trento. Un’interpretazione funzionale
                 a nascondere un processo storico assai più mosso e conflittuale, che
                 innestò nel tronco della sovranità pontificia l’autorità inquisitoriale defi-
                 nendo il perimetro e i caratteri centralistici di una nuova obbedienza
                 romana di tipo moderno. In realtà, com’è noto grazie agli studi di Giu-
                 seppe Alberigo, l’assise conciliare non produsse un’ecclesiologia orga-
                 nica,  univoca  e  compiuta  che  le  sarebbe  stata  attribuita  soltanto
                 posteriormente: piuttosto il cosiddetto «tridentinismo» segnò il prevalere
                 dell’obbedienza romana. Tale processo non fu privo di contrasti e di
                 durature resistenze a livello diocesano e periferico e consentì, per un
                 verso, di mascherare l’azione inquisitoriale sotto il mantello dell’autorità
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                 pontificia e, per un altro, di ereticizzare il dissenso interno alla Chiesa .


                    1  G. Alberigo, L’ecclesiologia del Concilio di Trento», «Rivista di Storia della Chiesa in
                 Italia», n. 18 (1964), pp. 227-242 e anche Id., L’episcopato nel cattolicesimo post-triden-
                 tino, «Cristianesimo nella storia», n. 6 (1985), pp. 71-91: 85, per il quale il papato del-
                 l’epoca «non attinse allo spirito del Concilio».


                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018     n.44
                 ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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