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                   La vita dell’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca (1563-1618) e la storia del suo culto di santità 459


                   per oltre tre secoli, giacché i primi accenni di ripresa della sua causa
                   di canonizzazione si registrarono soltanto nel 1909 grazie all’impulso
                   di don Luigi Guanella, fondatore delle Congregazioni delle Serve di
                   Carità e delle Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza, a sua volta
                   proclamato santo nel 2011 da Benedetto XVI. Un secondo impulso si
                   verificò tra il 1934 e il 1935, quando si svolse il processo diocesano
                   sugli scritti del servo di Dio, sul martirio e sul «non culto», ovvero sul-
                   l’assenza di una venerazione pubblica non autorizzata, come richiesto
                   dai decreti inquisitoriali del 1625 e ribadito dal breve pontificio Coele-
                   stis Ierusalem del 1634.
                      Gli altri due santi svizzeri morti più recentemente videro ricono-
                   sciuta la loro sanità molto prima di Rusca: il cappuccino Fedele di Sig-
                   maringen fu beatificato già nel 1729 e canonizzato nel 1746, mentre il
                   gesuita Pietro Canisio venne beatificato nel 1869 e conseguì l’onore
                   degli altari nel 1925, ossia quando la causa di Rusca aveva cominciato
                   a muovere i suoi primi passi. In tutta evidenza, la procedura giudiziaria
                   nei suoi riguardi dovette scontare, rispetto agli altri due sacerdoti, l’as-
                   senza di un ordine religioso organizzato alle spalle in grado di traman-
                   darne la memoria e di sostenere il processo di canonizzazione anche
                   sotto il profilo economico.
                      Approfondire  la  biografia  di  Rusca  è  interessante  non  soltanto
                   rispetto alla questione della difficile elaborazione di un «mito triden-
                   tinista», incentrato sulla figura dell’arcivescovo di Milano Carlo Bor-
                   romeo e sulla valorizzazione dell’autorità diocesana che quel Concilio
                   avrebbe  restaurato  nella  sua  dignità,  ma  anche  per  comprendere
                   come la svolta devozionale della Santa Sede rispetto al culto dei «beati
                   moderni» sia stata ispirata dai nuovi criteri della ragion di Stato fissati
                   nel 1589 da Giovanni Botero nell’opera omonima. L’ex gesuita, segre-
                   tario di Carlo Borromeo e in seguito maestro e consigliere di suo
                   nipote Federico, aveva precisato che al principe cattolico conveniva
                   «ch’egli schivi gli estremi che sono la simulatione e la supertitione:
                   quella, perché (come ho già detto) non può durare e, scoperta, discre-
                   dita affatto il simulatore, questa, perché porta seco disprezzo: sia
                   sodamente  religioso  contra  la  fittione  e  saviamente  pio  contra  la
                                7
                   supertitione» .
                      Concetti elaborati in anni in cui il panorama della santità moderna
                   si era popolato di fenomeni devozionali nuovi, destinati a produrre
                   un aggiornamento dei reati inquisitoriali e un allargamento di tipo
                   «pastorale» del loro spettro e dell’azione del Sant’Uffizio come la «san-




                      7  G. Botero, Della Ragion di Stato libri dieci, con tre Libri delle cause della grandezza
                   e magnificenza delle Città, Venezia, 1589, pp. 94-95.


                   n.44                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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