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                   La vita dell’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca (1563-1618) e la storia del suo culto di santità 461


                   Brera una formazione umanistica e teologica con lo studio delle lingue
                   bibliche, ebraica e greca, e con le letture delle opere del cardinale
                                                                           14
                   Gaspare Contarini e dell’umanista Erasmo da Rotterdam .
                      Nel 1590 divenne arciprete di Sondrio e si presentò ai fedeli come
                   erede e rappresentante del prototipo del pastore d’anime d’ispirazione
                   borromaica. Scelse, dunque, di percorrere la strada di una rigorosa
                   strategia di difesa della giurisdizione ecclesiastica a livello locale e di
                   tutela della funzione pontificale del vescovo soprattutto in territori di
                   frontiera come quelli italo-elvetici, dove era maggiormente necessario
                   contrastare i protestanti, anche in concorrenza e sovrapposizione con
                   i poteri inquisitoriali romani. Un’azione intransigente che, in una terra
                   piena di calvinisti come la Valtellina, una sorta di potenziale testa di
                   ponte della diffusione del protestantesimo nell’Italia settentrionale, pro-
                   vocò esplosivi conflitti religiosi, politici e sociali, in cui Rusca trovò la
                   morte nel corso di una seduta di tortura.
                      Anche nella sua concreta attività pastorale Rusca incarnò il modello
                   dell’arciprete borromaico tracciato negli Acta mediolanensis, il cuore e
                   il motore indispensabile per realizzare quella riforma della Chiesa in
                   capite et in membris richiesta dal Concilio di Trento. Un’azione che, per
                   avere successo, doveva partire dai modelli di comportamento e dagli
                   esempi più vicini ai fedeli e al loro concreto vissuto sociale e religioso.
                   Nell’importante diocesi lombarda, grazie all’esempio di Carlo Borromeo,
                   si era assunto il riferimento di un’ecclesiologia pastorale che vedeva al
                   vertice della piramide l’arcivescovo, ma dove ogni pastore, anche il più
                   umile, aveva l’obbligo di seguire con cura assidua, proprio come faceva
                   Rusca a Sondrio, il proprio gregge, oltre l’obiettivo materiale della sine-
                   cura e dei benefici. L’arciprete, infatti, era al capo di tutti quei sacerdoti
                   sparsi nelle piccole e numerose pievi della zona che Rusca coordinava
                   applicando, a quel livello di base, la funzione pontificale che, a sua
                   volta, l’arcivescovo esercitava su di lui. L’idea era che soltanto una
                   riforma dei costumi dal basso e una rigorosa azione a livello diocesano,
                   di tipo orizzontale e periferico e non verticale e centralistico, avrebbe
                   potuto sprigionare quelle energie necessarie per contrastare con serietà
                   la riforma protestante, soprattutto in territori di frontiera come quelli
                   italo-elvetici.






                      14  Si veda la lettera di Nicolò Rusca a Carlo Borromeo, post 1581 ante 3 novembre
                   1584, pubblicata da S. Xeres, Dà la vita il Buon pastore (Gv, 10,11). Biografia di Nicolò
                   Rusca (1563-1618) cit., p. 149. Sulla biblioteca di Rusca e le sue letture si rinvia a G.
                   Pozzi, Libri appartenuti a Nicolò Rusca, in D. Jauch, F. Panzera (a cura di), Carte che
                   vivono. Studi in onore di don Giuseppe Gallizia, Armando Dadò, Locarno, 1997, pp.
                   321-330.


                   n.44                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Dicembre 2018
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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