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                mia e credito» e più tardi ristampato sulla prestigiosa «Rivista Storica
                Italiana». Questo, mi pare, è l’unico contributo che Giuffrida ha voluto
                pagare all’età moderna e c’è da rammaricarsi che egli non abbia voluto
                percorrere  ulteriormente  questa  strada,  a  giudicare  dall’importanza
                del lavoro. Lo ha compreso molto bene Ninni, che, quando, alla fine
                degli anni Novanta, ha deciso di indirizzare i suoi interessi scientifici
                verso l’età moderna, ha cominciato proprio da dove il padre Romualdo
                aveva lasciato e ci ha regalato il bellissimo libro su La finanza pubblica
                nella Sicilia del ‘500, che resta per me tra i lavori più originali apparsi
                nell’ultimo decennio in Sicilia.
                   La strada, ripeto, era stata aperta da Romualdo, che grazie a una
                fonte archivistica sino ad allora inesplorata, i registri del Luogotenente
                del  Protonotaro,  è  riuscito  a  ricostruire  nelle  grandi  linee  la  prove-
                nienza delle ingenti somme di denaro rastrellate in Sicilia dal governo
                spagnolo tra il 1556 e il 1665, per trasferirle sulle piazza commerciali
                di Genova e di Milano e finanziare così le attività belliche in cui la
                Spagna era impegnata, e in particolare la lunga guerra dei Trent’anni.
                Si trattava in massima parte di anticipazioni a breve termine, effet-
                tuate soprattutto da mercanti-banchieri genovesi, ma anche toscani e
                lombardi, sull’importo di tande annuali del donativo che il regno di
                Sicilia versava alla Spagna, ma anche di acquisti anticipati da parte
                degli stessi mercanti di tratte ossia di diritti di esportazione di cereali.
                La ricerca affannosa di capitali da parte della Spagna era motivata
                dalle  ingenti  spese  belliche  da  affrontare,  ma  il  regno  di  Sicilia  era
                esausto  per  le  spese  approntate  negli  anni  precedenti  per  la  difesa
                dello stesso regno contro i Turchi. Non c’era perciò altra strada che il
                ricorso ai prestiti e alle anticipazioni da parte dei mercanti stranieri
                presenti nell’isola, con interessi elevatissimi che finivano col gravare
                pesantemente sull’erario siciliano. Più tardi, nel Seicento, si ricorrerà
                anche alla vendita degli uffici pubblici e persino delle città, che veni-
                vano concesse in feudo agli acquirenti. Per concludere, le rimesse dalla
                Sicilia si spendevano in buona parte nell’acquisto di armi in Lombar-
                dia, la regione che più delle altre si è avvantaggiata della situazione.
                   Come ho già detto, Romualdo non sarebbe più ritornato sull’argo-
                mento, quasi per volere lasciare campo libero al giovane Ninni, che
                però allora si occupava con un certo successo di storia medievale. E
                tuttavia  l’indagine  sulla  politica  finanziaria  spagnola  in  Sicilia  fece
                emergere il ruolo dei capitalisti stranieri nelle vicende dell’isola, cosic-
                ché quando l’anno appresso 1976 egli riprese a occuparsi del sistema
                stradale con il saggio Il problema delle strade di Sicilia e il capitale stra-
                niero nel primo ottocento,  più  che  sulle  strade  egli  si  soffermò  sulla
                partecipazione del capitale straniero: un tema che approfondirà negli
                anni successivi con un apposito saggio apparso poco dopo nel IX vo-
                lume della Storia della Sicilia diretta da Rosario Romeo.





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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