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                governo sulla sovvenzione dovuta alla Trinacria. Un tentativo di fu-
                sione delle due Compagnie palermitane Florio e Trinacria condotto da
                Luigi Orlando e sollecitato dagli ambienti commerciali palermitani e
                da un vasto schieramento politico (da Crispi a Minghetti), fu bloccato
                proprio dalla decisione del Banco di Sicilia, verso cui La Trinacria era
                più esposta, di sospendere la concessione di ulteriori finanziamenti e
                di chiederne il fallimento (gennaio 1876), a totale vantaggio − si è già
                detto − della Florio che così acquistava, a prezzi di liquidazione, tredici
                piroscafi di recentissima costruzione, con i quali far fronte con poca
                spesa  ai  maggiori  impegni  che  il  rinnovo  delle  convenzioni  postali
                dell’anno successivo avrebbe comportato.
                   Per gli ispettori ministeriali, le difficoltà del Banco di Sicilia, più che
                determinate dai fallimenti del Genuardi e della Trinacria, «affondavano
                le proprie profonde radici nelle gravi carenze che minavano alla base
                le strutture amministrative dell’istituto». Giuffrida non è del tutto d’ac-
                cordo e colloca il problema nel contesto nazionale, avvalendosi della
                sua  profonda  conoscenza  della  storia  bancaria  del  paese.  Pur  non
                escludendo i contingenti disordini amministrativi, attribuisce perciò le
                difficoltà del banco «alla posizione d’inferiorità in cui esso per la sua
                natura giuridica originaria e per la impostazione data dai governi della
                Destra alla politica bancaria su scala nazionale, era venuto a trovarsi
                con gli altri istituti d’emissione rispetto alla Banca Nazionale nel Re-
                gno». E sulle orme di Aldo Berselli chiama in causa la politica finan-
                ziaria dei governi italiani, che «dal corso forzoso in avanti aveva avvan-
                taggiato solo la Banca Nazionale che era nelle mani di una ristretta
                oligarchia  finanziaria  settentrionale»;  politica  centralizzata  che  dan-
                neggiava gli interessi locali a favore degli interessi settentrionali.
                   Il rinnovo del CdA nel 1875 e la successiva nomina da parte del
                governo di un nuovo direttore generale nella persona di Emanuele No-
                tarbartolo, allora sindaco della città, determinarono il rilancio dell’Isti-
                tuto. Notarbartolo appare a Giuffrida un uomo integerrimo, che riuscì
                a risanare il Banco di Sicilia senza guardare in faccia nessuno, chiu-
                dendo inesorabilmente i cordoni del credito a personaggi emergenti,
                ma scarsamente solvibili, e procedendo senza indugio al recupero di
                numerosi crediti in sofferenza. È probabile che l’azione restrittiva del
                direttore del Banco affossasse anche o impedisse che si affermassero
                iniziative della gracile borghesia industriale dell’isola, che avrebbero
                potuto assumere un ben diverso sviluppo se sorrette dalla possibilità
                di un più facile ricorso al credito bancario. È certo, in ogni caso, che
                essa ledeva non pochi interessi e soprattutto impediva che i capitali
                del Banco servissero a finanziare speculazioni e campagne elettorali.
                Nella sua opera di moralizzazione il Notarbartolo si scontrò duramente
                con il Consiglio Generale del Banco, i cui componenti di nomina poli-
                tica  erano  invece  sensibili  alle  pressioni  esterne,  soprattutto  in





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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