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742 Orazio Cancila
governo sulla sovvenzione dovuta alla Trinacria. Un tentativo di fu-
sione delle due Compagnie palermitane Florio e Trinacria condotto da
Luigi Orlando e sollecitato dagli ambienti commerciali palermitani e
da un vasto schieramento politico (da Crispi a Minghetti), fu bloccato
proprio dalla decisione del Banco di Sicilia, verso cui La Trinacria era
più esposta, di sospendere la concessione di ulteriori finanziamenti e
di chiederne il fallimento (gennaio 1876), a totale vantaggio − si è già
detto − della Florio che così acquistava, a prezzi di liquidazione, tredici
piroscafi di recentissima costruzione, con i quali far fronte con poca
spesa ai maggiori impegni che il rinnovo delle convenzioni postali
dell’anno successivo avrebbe comportato.
Per gli ispettori ministeriali, le difficoltà del Banco di Sicilia, più che
determinate dai fallimenti del Genuardi e della Trinacria, «affondavano
le proprie profonde radici nelle gravi carenze che minavano alla base
le strutture amministrative dell’istituto». Giuffrida non è del tutto d’ac-
cordo e colloca il problema nel contesto nazionale, avvalendosi della
sua profonda conoscenza della storia bancaria del paese. Pur non
escludendo i contingenti disordini amministrativi, attribuisce perciò le
difficoltà del banco «alla posizione d’inferiorità in cui esso per la sua
natura giuridica originaria e per la impostazione data dai governi della
Destra alla politica bancaria su scala nazionale, era venuto a trovarsi
con gli altri istituti d’emissione rispetto alla Banca Nazionale nel Re-
gno». E sulle orme di Aldo Berselli chiama in causa la politica finan-
ziaria dei governi italiani, che «dal corso forzoso in avanti aveva avvan-
taggiato solo la Banca Nazionale che era nelle mani di una ristretta
oligarchia finanziaria settentrionale»; politica centralizzata che dan-
neggiava gli interessi locali a favore degli interessi settentrionali.
Il rinnovo del CdA nel 1875 e la successiva nomina da parte del
governo di un nuovo direttore generale nella persona di Emanuele No-
tarbartolo, allora sindaco della città, determinarono il rilancio dell’Isti-
tuto. Notarbartolo appare a Giuffrida un uomo integerrimo, che riuscì
a risanare il Banco di Sicilia senza guardare in faccia nessuno, chiu-
dendo inesorabilmente i cordoni del credito a personaggi emergenti,
ma scarsamente solvibili, e procedendo senza indugio al recupero di
numerosi crediti in sofferenza. È probabile che l’azione restrittiva del
direttore del Banco affossasse anche o impedisse che si affermassero
iniziative della gracile borghesia industriale dell’isola, che avrebbero
potuto assumere un ben diverso sviluppo se sorrette dalla possibilità
di un più facile ricorso al credito bancario. È certo, in ogni caso, che
essa ledeva non pochi interessi e soprattutto impediva che i capitali
del Banco servissero a finanziare speculazioni e campagne elettorali.
Nella sua opera di moralizzazione il Notarbartolo si scontrò duramente
con il Consiglio Generale del Banco, i cui componenti di nomina poli-
tica erano invece sensibili alle pressioni esterne, soprattutto in
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)