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L’opera storiografica di Romualdo Giuffrida 739
della Vicaria, mentre quella di Messina, aperta nel 1846, nel palazzo
senatorio. Ovviamente, le due Casse non esercitavano il credito: erano
soltanto istituti di deposito, che emettevano titoli di credito contro de-
posito di numerario.
I moti siciliani del 1848 determinarono il distacco delle due Casse
di Corte di Palermo e Messina dal Banco delle Due Sicilie e la loro
unificazione nel Banco Nazionale della Sicilia, che consentì «al governo
rivoluzionario di reperirvi buona parte dei mezzi finanziari di cui ebbe
necessità nei 17 mesi della sua attività». E tuttavia il ministro delle
finanze Filippo Cordova era convinto che se il nuovo banco fosse stata
«una istituzione di credito all’altezza del tempo, una istituzione simile
a tutto ciò che [presentavano] in questo genere i paesi inciviliti al di
qua e al di là dell’Atlantico, il Governo avrebbe potuto ritirarne un
soccorso due volte maggiore di quello che [aveva] ritratto».
L’autonomia da Napoli conquistata dal Banco siciliano sotto il go-
verno rivoluzionario non poteva più essere messa in discussione dal
ritorno del governo borbonico, che infatti con decreto 13 agosto 1850
istituì il “Banco Regio dei Reali dominii al di là del faro”, il progenitore
del Banco di Sicilia. Ma lungi dall’avvantaggiare la Sicilia, l’autonomia
bancaria si rivelava un grave passo indietro, perché, mentre il banco
siciliano accettava in pagamento le cedole del banco napoletano, il
contrario non avvenne più. Il ministro napoletano delle Finanze non
accettava cioè il principio della riscontrata e comunicava in Sicilia «che
ora, costituiti i Banchi di Palermo e Messina in una amministrazione
separata affatto da quella dei Banchi di Napoli ed indipendente da
questa Reggenza non potrebbero applicarsi quei metodi e quei sistemi
determinati dal r. d. del 7 aprile 1843, quando sotto un[‘unica] dipen-
denza erano le casse di Napoli e di Sicilia e quindi potevano agevol-
mente aver luogo le cosidette riscontrate».
Per il luogotenente generale principe di Satriano l’opposizione del
ministro napoletano alla riscontrata era immotivata. E tuttavia aveva
dei costi notevoli sia per la tesoreria di Sicilia sia per la stessa tesoreria
di Napoli, se per il trasferimento a Napoli delle rate dei pesi comuni
spettanti alla Sicilia la casa Rothschild aveva lucrato nel solo 1852
ducati 7.997, di cui i tre quarti, ossia ducati 5.848, erano a carico
della stessa tesoreria napoletana. Giuffrida ne deduce correttamente
che «lo stato di diffidenza esistente tra le amministrazione delle Casse
di Corte a Napoli e in Sicilia gettava una luce sinistra sul loro credito,
a parte poi il fatto che sembrava molto strano che l’una tesoreria du-
bitasse della solidità e della buona fede dell’altra, stando ambedue
sotto lo stesso scettro». Senza esito rimasero le sollecitazioni degli ope-
ratori economici siciliani perché il Banco Regio si trasformasse da isti-
tuto di deposito in istituto di credito, in modo che i capitali in esso
depositati non rimanessero infruttuosi e fossero messi a disposizione
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)