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                discontinuità storica, la capacità di indagare a un tempo sui muta-
                menti graduali e sulle rotture traumatiche, saltando gli steccati cro-
                nologici e disciplinari che separano la storia dell’età antica, medie-
                vale, moderna e contemporanea, nella profonda convinzione che la
                storia è una e una soltanto; ma anche la convinzione dell’esistenza
                di uno stretto nesso tra religione, cultura e politica, e una non co-
                mune capacità di fare alta divulgazione storica sposata all’abilità di
                approfondire singoli nodi tematici. E soprattutto – credo sia questa
                la caratteristica principale che emerge da questa Storia della solitu-
                dine – la predisposizione ad ascoltare e interpretare l’attualità, a co-
                gliere l’urgenza di un problema vivo nella società contemporanea per
                offrire a esso, in tempi molto veloci, una prospettiva storica. Nel caso
                specifico: il dramma della solitudine di donne, uomini, e soprattutto
                giovani, che la pandemia nella quale siamo ancora immersi ha reso
                ancor più grave e urgente.
                   I dati che Musi riporta nelle sue Conclusioni sono a questo pro-
                posito  allarmanti,  soprattutto  se  si  considerano  gli  effetti  perversi
                della tecnologia e quelle che egli stesso definisce le «deformazioni pa-
                tologiche della solitudine» . Perché rapportarsi con gli altri è difficile,
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                fa  paura,  a  volte  è  troppo  pericoloso.  E  a  questo  proposito  Musi
                scrive, cogliendo il segno, di un «rapporto narcisistico con il sé che
                non ammette interferenze, che considera l’altro come costante peri-
                colo», aggiungendo che «per fermare l’oscillazione del pendolo si ri-
                corre all’illusione dei social media», i quali «in realtà si rivelano per
                quello che sono cioè un apparente e illusorio strumento attraverso il
                quale l’altro diventa una pura proiezione dell’io, una creazione nar-
                cisistica a sua immagine e somiglianza che finisce per aggravare lo
                stato di solitudine come separazione e isolamento» .
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                   L’intero volume è costruito intorno alla dialettica tra beata solitu-
                dine e maledetta solitudine, oppure, per usare le parole di Eugenio
                Borgna, uno dei massimi psichiatri italiani autore di un recentissimo
                volumetto dedicato per l’appunto alla solitudine, la dialettica tra la
                solitudine animata dall’interiorità, dalla trascendenza, dalla ricerca
                dell’infinito che è in noi, quella che Borgna chiama solitudine dialo-
                gica, creatrice, interiore, da una parte; e invece «la solitudine che ci
                immerge negli aridi confini dell’io, una solitudine che può nascere
                dal  dolore,  dalla  sventura,  dalla  malattia  e  dalla  disperazione,  ma


                   7  A. Musi, Storia della solitudine, p. 158.
                   8  Ibidem, pp. 158-159.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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