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A proposito di due recenti libri di Aurelio Musi                 501


                    anche dall’egoismo e dal rifiuto del dialogo», e che ci chiude nei con-
                    fini della nostra soggettività, che rifiuta il confronto con gli altri e si
                    traduce  in  un  infernale  isolamento  dal  mondo  esterno  lasciandoci
                    senza speranza e senza futuro, dall’altra . Solitudine evolutiva e so-
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                    litudine depressiva, le hanno definite grandi psicanalisti come Mela-
                    nie Klein e Donald Winnicot, ricorda Musi, associata la prima a un
                    sentimento gioioso, a una capacità di isolarsi dal mondo per ritrovare
                    la pace e la tranquillità, per realizzare i propri desideri in autonomia
                    e indipendenza dagli altri, legata invece la seconda alla perdita, al
                    rifiuto, all’isolamento, pesante come un macigno nel vissuto quoti-
                    diano .
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                       La scelta della vita eremitica è uno degli esempi che la storia an-
                    tica e poi medievale ci offrono di solitudine beata, o evolutiva, o dia-
                    logante che dir si voglia: in questo caso la fuga dal mondo ha l’obiet-
                    tivo di raggiungere una maggiore vicinanza con Dio e un arricchi-
                    mento interiore. Ma il Medioevo ci offre anche un altro modello di
                    solitudine che è quello dell’esclusione sociale, dell’essere fuori dalla
                    communitas:  poveri,  vagabondi,  folli,  ma  anche  donne,  prostitute,
                    lebbrosi allontanati dalla comunità perché identificati come fonti di
                    pericolo per la stessa sopravvivenza del corpo sociale . E poi c’è il
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                    modello di Petrarca, il quale con il suo De vita solitaria offre il primo
                    tassello di una concezione moderna della solitudine che complica il
                    quadro  della  dialettica  duale  tra  beata  e  maledetta  solitudine,
                    aprendo la strada verso la modernità. Come racconta Musi, quella di
                    Petrarca è la solitudine elitaria del dotto, l’esigenza di allontanarsi
                    dalla moltitudine e più specificamente dalla città frequentata da traf-
                    ficanti, mestieranti, professionisti dell’imbroglio, del raggiro e della
                    mediazione parassitaria: la città sentina di tutti i vizi legati al diver-
                    timento e allo spettacolo delle folle.
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                       Petrarca celebra la dimensione della biblioteca e della lettura come
                    luogo consacrato ai piaceri sconosciuti alla gente comune: luogo di
                    incontro con amici scelti che gli altri non conoscono e non vedono.
                    C’è un passo molto bello del De vita solitaria che vale la pena ripor-
                    tare:



                       9  E. Borgna, In dialogo con la solitudine, Einaudi, Torino, 2021; Id., La solitudine
                    dell’anima, Feltrinelli, Milano, 2011.
                       10  A. Musi, Storia della solitudine, p. 8.
                       11  Ibidem, pp. 63-66.
                       12  Ibidem, p. 69.


                                                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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