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                   Questi uomini rozzi si meravigliano ch’io osi disprezzare le delizie ch’essi
                considerano  beni  supremi,  e  non  comprendono  né  la  mia  felicità  né  quel
                piacere che mi danno alcuni amici segreti, che da tutte le parti del mondo
                ogni età m’invia, amici illustri per lingua, ingegno, guerre, facondia; amici
                non difficili che si contentano di un angolo della mia modesta casa, che nes-
                suna  mia  domanda  rifiutano,  che  premurosi  mi  assistono  e  non  mai  mi
                danno fastidio, che se ne vanno a un mio cenno e richiamati ritornano. 13

                   La solitudine beata del dotto circondato dai suoi amici libri, dai
                suoi amici classici: Cicerone, Seneca, Quintiliano, Giovenale, che lo
                aiutano a rispondere a ogni domanda e ogni esigenza. Quella di Pe-
                trarca è la solitudine del lettore ma anche la solitudine dello scrittore,
                che si erge a garanzia di immortalità:

                   Ma chi può dubitare che proprio il lavoro letterario, con cui consacriamo
                il nome nostro o altrui, con cui incidiamo le immagini degli uomini illustri
                in un materiale che assicura l’eternità ben più del bronzo o del marmo si
                possa sviluppare in nessun luogo con più agio e libertà che in solitudine? 14

                   Come ha scritto Musi, «il felice stato della solitudine è per Petrarca
                l’approdo del confronto tra la giornata di chi vive fra la moltitudine,
                il  cittadino  indaffarato  ma  in  realtà  misero,  annoiato,  soprattutto
                continuamente ingannato dagli altri, e la giornata di chi ha scelto il
                riposo temperato dallo studio e dalla preghiera» . È un topos – quello
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                dell’elogio della solitudine interiore del dotto che si ritira nel suo stu-
                dio  per  leggere  e  approfondire  i  classici  –  che  prosegue  anche  nel
                primo Cinquecento con Machiavelli, di cui Musi cita per intero la bel-
                lissima e notissima lettera a Francesco Vettori:  un vero e proprio
                                                                16
                rituale  che  realizza  un  trasferimento  del  dotto  in  un  mondo  altro,
                dove questi ritrova se stesso e vive come in uno stato di sospensione
                dell’angoscia legata all’affanno quotidiano.
                   La fuga dalla città e dagli inganni della cultura urbana e cortigiana
                e l’elogio della solitudine ritornano come elementi centrali anche nel
                cinquecentesco Ragionamento fatto tra un cavaliere errante e un uomo
                solitario di Ortensio Lando, pubblicato a Venezia nel 1552, condite
                con  una  buona  dose  di  polemica  anticlericale  rivolta  contro  la




                   13  L. Bolzoni, Una meravigliosa solitudine. L’arte di leggere nell’Europa moderna, Ei-
                naudi, Torino, 2019,  p. 13.
                   14  Ibidem, p. 19.
                   15  A. Musi, Storia della solitudine, p. 70.
                   16  Ibidem, p. 76.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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