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                loro addirittura sulla propria testa e sull’onore . I retroscena, punti-
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                gliosamente descritti dalle parti in causa, di alcuni fatti di sangue oc-
                corsi nella città – e in particolare quello che nell’estate del ’53 coinvolse
                due soldati spagnoli e uno milanese della guarnigione – aprono sugge-
                stivi squarci sui legami amicali nel segno del comune servizio a un
                unico patrono che si sviluppavano anche tra i suoi ‘creati’, pronti a
                darsi manforte reciprocamente, indipendentemente dalla provenienza
                geografica, contro i rispettivi avversari e nemici tra gli abitanti della
                città .
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                   Ma  la  corrispondenza  dell’energico  quanto  perspicace  ufficiale
                asburgico mostra chiaramente anche la volontà di radicarsi in uno
                scacchiere per più versi conteso, politicamente frammentato e dunque
                tale da apparire estremamente magmatico: in primo luogo per la pe-
                culiare condizione della Città di Como, la terza dello Stato per impor-
                tanza economica, situata in una posizione strategica per gli interessi
                globali degli Asburgo, ma fortemente ridimensionata nei confini della
                propria giurisdizione dagli acquisti territoriali elvetici e soprattutto gri-
                gioni – la Valtellina, la Val Chiavenna e il contado di Bormio – nella
                prima  fase  delle  Guerre  d’Italia,  dalla  propensione  della  leadership
                asburgica a concedere censi e infeudazioni nell’area e dai particolari-
                smi locali che impedivano un effettivo controllo sul contado. Una si-
                tuazione che rendeva anche più vistoso l’incremento del prelievo fi-
                scale sollecitato dal conflitto franco-asburgico, che nel corso di meno
                di tre decenni portò a triplicare i carichi ordinari e straordinari gra-
                vanti sui sudditi milanesi dell’imperatore . Anche la revisione dell’im-
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                ponibile fiscale (‘estimo’) ordinata da Carlo V nel 1543 comportò van-
                taggi e svantaggi per i sudditi comaschi, che vivevano di agricoltura,
                ma  anche  e  soprattutto  di  commerci  e  di  una  fiorente  proto-indu-
                stria ,  vista  l’inclusione  nell’imponibile  delle  rendite  del  ‘mercimo-
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                nio’ . Tanto più che i borghi del contado, e tra questi le comunità
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                lacuali, reclamavano un regime fiscale separato da quello della città


                   27  Ivi, cart. 153, Ferrante Gonzaga a Francesco Taverna, 22 dicembre 1552; cart.
                155, Relazione di Giovanni Battista Albricci, 26 gennaio 1553; cart. 156, il governatore
                di Como a Ferrante Gonzaga, 15 febbraio 1553; Relazione di Giovanni Battista Albricci,
                15 febbraio 1553; Ferrante Gonzaga a Hernando Diez de Ledesina, 19 febbraio 1553.
                   28  Ivi, cart. 166, Copia di lettera di Agostino Gualbesio Podestà di Como a Sua Eccel-
                lenza [Ferrante Gonzaga], da Como a 23 di Agosto 1552.
                   29  M.M. Rabà, Fisco, coercizione militare e mediazione dei conflitti tributari. Le entrate
                del Ducato di Milano sotto Carlo V e Filippo II (1536-1558), «Storia economica», XV, 2
                (2012), pp. 291-342.
                   30  V. Beonio-Brocchieri, «Piazza universale di tutte le professioni del mondo». Famiglie
                e mestieri nel Ducato di Milano in età spagnola, Unicopli, Milano, 2000, p. 113.
                   31  G. Vigo, Fisco e società nella Lombardia del Cinquecento, il Mulino, Bologna, 1979,
                p. 19.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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