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344 Michele Maria Rabà
loro addirittura sulla propria testa e sull’onore . I retroscena, punti-
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gliosamente descritti dalle parti in causa, di alcuni fatti di sangue oc-
corsi nella città – e in particolare quello che nell’estate del ’53 coinvolse
due soldati spagnoli e uno milanese della guarnigione – aprono sugge-
stivi squarci sui legami amicali nel segno del comune servizio a un
unico patrono che si sviluppavano anche tra i suoi ‘creati’, pronti a
darsi manforte reciprocamente, indipendentemente dalla provenienza
geografica, contro i rispettivi avversari e nemici tra gli abitanti della
città .
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Ma la corrispondenza dell’energico quanto perspicace ufficiale
asburgico mostra chiaramente anche la volontà di radicarsi in uno
scacchiere per più versi conteso, politicamente frammentato e dunque
tale da apparire estremamente magmatico: in primo luogo per la pe-
culiare condizione della Città di Como, la terza dello Stato per impor-
tanza economica, situata in una posizione strategica per gli interessi
globali degli Asburgo, ma fortemente ridimensionata nei confini della
propria giurisdizione dagli acquisti territoriali elvetici e soprattutto gri-
gioni – la Valtellina, la Val Chiavenna e il contado di Bormio – nella
prima fase delle Guerre d’Italia, dalla propensione della leadership
asburgica a concedere censi e infeudazioni nell’area e dai particolari-
smi locali che impedivano un effettivo controllo sul contado. Una si-
tuazione che rendeva anche più vistoso l’incremento del prelievo fi-
scale sollecitato dal conflitto franco-asburgico, che nel corso di meno
di tre decenni portò a triplicare i carichi ordinari e straordinari gra-
vanti sui sudditi milanesi dell’imperatore . Anche la revisione dell’im-
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ponibile fiscale (‘estimo’) ordinata da Carlo V nel 1543 comportò van-
taggi e svantaggi per i sudditi comaschi, che vivevano di agricoltura,
ma anche e soprattutto di commerci e di una fiorente proto-indu-
stria , vista l’inclusione nell’imponibile delle rendite del ‘mercimo-
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nio’ . Tanto più che i borghi del contado, e tra questi le comunità
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lacuali, reclamavano un regime fiscale separato da quello della città
27 Ivi, cart. 153, Ferrante Gonzaga a Francesco Taverna, 22 dicembre 1552; cart.
155, Relazione di Giovanni Battista Albricci, 26 gennaio 1553; cart. 156, il governatore
di Como a Ferrante Gonzaga, 15 febbraio 1553; Relazione di Giovanni Battista Albricci,
15 febbraio 1553; Ferrante Gonzaga a Hernando Diez de Ledesina, 19 febbraio 1553.
28 Ivi, cart. 166, Copia di lettera di Agostino Gualbesio Podestà di Como a Sua Eccel-
lenza [Ferrante Gonzaga], da Como a 23 di Agosto 1552.
29 M.M. Rabà, Fisco, coercizione militare e mediazione dei conflitti tributari. Le entrate
del Ducato di Milano sotto Carlo V e Filippo II (1536-1558), «Storia economica», XV, 2
(2012), pp. 291-342.
30 V. Beonio-Brocchieri, «Piazza universale di tutte le professioni del mondo». Famiglie
e mestieri nel Ducato di Milano in età spagnola, Unicopli, Milano, 2000, p. 113.
31 G. Vigo, Fisco e società nella Lombardia del Cinquecento, il Mulino, Bologna, 1979,
p. 19.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)