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342 Michele Maria Rabà
importanza strategica: l’incremento della truppa infatti ne moltipli-
cava le occasioni di incontro e scambio con i governati, e le occasioni
di cooperazione, dunque, ma anche i contrasti, che erano la norma
trattandosi di reparti di professionisti in buona parte forestieri, ma
che risultavano esacerbati (e in un certo senso legittimati), quando
riproducevano la competizione tra le istituzioni civili locali e quelle
militari .
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Dinamiche in buona sostanza conflittuali interessarono i rapporti
tra gli amministrati e il governatore sin dall’inizio del suo mandato e
su diversi temi, che la vicinanza del confine con gli Svizzeri e i Grigioni
e la presenza in Como di un folto partito filo-francese rendevano an-
cora più sensibili. In primo luogo lo stipendio dell’Arce e le ‘contribu-
zioni’ (‘trattamento’) necessarie al suo mantenimento e a quello della
guarnigione della città e soprattutto del castello. In secondo luogo l’au-
tonomia del Consiglio cittadino, che il governatore pretendeva di con-
trollare attraverso l’invio di un suo rappresentante a ogni seduta e so-
prattutto esercitando il diritto di convocarlo o di proibirne le riunioni.
Pure costanti furono le diatribe circa la giurisdizione del governatore
di Como – evidentemente concorrente rispetto a quella del podestà –
in materia di atti criminali, specialmente quando risultavano coinvolti
militari della guarnigione: un tema cruciale, quest’ultimo, poiché la
facoltà di intervenire nelle cause criminali così come in quelle civili e
amministrative consentiva al comandante del presidio di assicurare
una effettiva protezione a quei soldati fidati che costituivano, come
vedremo, la componente in armi del suo circuito clientelare. Si aggiun-
gano i malumori ingenerati dall’interdizione della circolazione in armi
ai sudditi non espressamente autorizzati dal governatore. Vi era infine
l’annosa questione dell’ammodernamento e della manutenzione del
circuito difensivo cittadino – uno dei pochi a risultare in piena effi-
cienza alla fine delle Guerre d’Italia –, un onere gravoso per via delle
ingenti spese che, in teoria, avrebbero dovuto essere suddivise tra il
tesoro milanese e i contribuenti comaschi, ma che di fatto ricadevano
totalmente su questi ultimi: una circostanza che – assieme al pari-
menti annoso tema della ripartizione degli altri carichi fiscali e della
partecipazione ai turni di guardia notturni e diurni all’interno della
città dominante – alimentava anche i contrasti tra le autorità di Como
e le comunità del contado .
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24 Ivi, cart. 155, il podestà di Como a Francesco Taverna, 24 dicembre 1552; Ferrante
Gonzaga a Francesco Taverna, 7 gennaio 1553.
25 Ivi, cart. 10, il governatore di Como al cardinale Marino Caracciolo, 16 febbraio e
16 novembre 1537; cart. 39, Dispaccio da Milano per il governatore di Como, 22 luglio
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)