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«Ottimi cristiani, buoni cittadini, bravi operai». L’«Asilo degli orfanelli e artigianelli… 243
Tuttavia il meccanismo della retribuzione presentava diversi aspetti
non favorevoli ai piccoli alunni. In primo luogo, non percepivano diret-
tamente il salario, che invece veniva versato per i tre quarti alle fami-
glie, per un quarto depositato presso la Cassa di Risparmio per poi
essere corrisposto al ragazzo al termine della sua permanenza presso
l’Istituto. Su queste somme, pur esigue in partenza, l’Istituto non
mancava di ricavare un lucro: nel bilancio dell’Istituto infatti del 1905
ad esempio, sotto il titolo «interessi ed utili diversi» appariva la voce
« Nostra quota delle mercedi degli alunni ». Data l’esiguità della retri-
buzione, anche la quota degli interessi sulla parte accantonata del sa-
lario dei fanciulli era minimale: ammontava nel 1905 a Lire 31,5 su
un bilancio complessivo per quell’anno che assommava a 29.122 Lire,
cioè una quota di poco superiore all’1 per mille delle entrate. Un im-
porto insignificante anche rispetto ai premi sopra citati agli alunni me-
ritevoli, che ammontavano complessivamente a più di tre volte rispetto
alla cifra di 31,5 che l’Istituto «lucrava» sui salari dei piccoli ospiti.
Tuttavia è significativo il fatto che l’Istituto mettesse formalmente a
bilancio una quota di lucro sui salari dei piccoli lavoratori, perché
aiuta a comprendere il criterio molto rigido, dal punto di vista ammi-
nistrativo, con cui gestiva i fanciulli, che certo non li favoriva da un
punto di vista economico. Infatti, il proposito dell’Istituto di garantire
ai ragazzi un salario esattamente sulla media corrente, in realtà poteva
essere un elemento di svantaggio rilevante. Risulta da diverse fonti –
e con particolare evidenza anche dalle stesse memorie del fondatore
dell’Istituto, Cesare Parissi – che per quanto a Firenze i fanciulli venis-
sero pagati con salari estremamente bassi, tuttavia nel contesto pro-
duttivo fiorentino, ricchissimo di piccole e micro imprese, con specia-
lizzazioni produttive diversissime, vi erano notevoli possibilità di mi-
gliorare e integrare gli scarsi guadagni in modi informali e occasionali.
Le mance, le possibilità di svolgere attività occasionali per incarichi
improvvisi e temporanei, la possibilità di tentare perfino attività in pro-
prio (tipicamente vendita di generi sui mercati cittadini, servizi ai tu-
risti, ecc.), erano quelle attività che il fondatore dell’Istituto, nato
anch’esso da famiglia di umili origini, riporta nelle sue memorie come
fattore fondamentale della sua formazione come imprenditore e anche
come elemento concreto di accumulo di un piccolissimo capitale ini-
ziale. Tutto questo era precluso ovviamente ai piccoli ospiti dell’Isti-
tuto, che avevano una vita estremamente regolata, programmata e
scandita con precisione, senza spazi liberi di iniziativa, e venivano in-
dirizzati entro una direzione molto ben determinata.
L’Istituto affermava infatti di avere sempre avuto come suo pro-
gramma «la formazione di giovani operai onesti, religiosi, colti e valenti,
… in speciali officine-scuole poste qui nell’Istituto stesso, sottratte così
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)