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522 Stefano Vinci
dettagli sui diversi orientamenti dottrinali e sulle opinioni prevalenti.
Si veda l’esempio del dibattito dottrinale sorto sulla validità degli atti
rogati da notaio non immatricolato, che viene esposto dall’Autore con
agevole facilità di lettura e comprensione anche dai non esperti in ma-
terie storico-giuridiche, riuscendo a condensare in poche battute un
argomento di gran lunga complesso:
L’ipotesi è stata dapprima discussa ampiamente da Angelo degli Ubaldi
nella repetitio alla l. Si vacantia del Codex (C.10.10.5) con riferimento allo
stesso testo e alla l. Ubi absunt del Digesto (D.26.5.19) e la sua tesi ha avuto
grande successo, venendo poi riteputa incidentalmente fino ai vari Tartagni,
Bertacchini, Giasone, Sandei, Marsili e Filippo Decio. Sicché la dottrina del
tardo diritto comune l’accetta pacificamente, discutendo se mai l’eccezione in-
trodotta per i testamenti, per i cui rogiti le forme di diritto comune e particolare
andrebbero osservate “a unguem”, secondo l’insegnamento ancora ribadito dal
Tartagni. Riprendendosi un’affermazione di Baldo, si argomenta in contrario
che se il non immatricolato può essere teste, non gli si può disconoscere la
possibilità di essere notaio. Piuttosto la dottrina di Angelo avanzava un’altra
riserva di carattere generale solitamente accolta, che cioè non si trovassero in
città altri notai. Ma a questo punto soccorre anche la dottrina dell’irreperibi-
lità, quando appunto ve ne fossero altri in città, ma non disposti a presenziare.
Con la conseguenza che l’affermazione di hi sostiene la validità dell’atto alle-
gando l’irreperibilità di altri notai è fondata fino a prova contraria (intentio
fundata), realizzandosi un’inversione dell’onere della prova 19 .
L’esempio citato conferma l’efficacia espositiva del volume, che lo
rende un valido manuale sul diritto delle emergenze epidemiche in età
medievale e moderna, i cui consilia proposti dai doctores iuris avreb-
bero costituito un insuperato punto di riferimento per i giuristi dei
secoli successivi, chiamati a cimentarsi ancora sulle problematiche
derivanti dai fenomeni epidemici. Tanto vero che i rimedi degli uomini
di legge contenuti nei trattati del Ripa e del Previdelli sarebbero stati
ancora ricordati nel 1850 dal patologo Alfonso Corradi nella sua po-
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derosa raccolta in nove volumi, intitolata Annali delle epidemie occorse
in Italia dalle prime memorie fino al 1850 . Pur contestando la loro
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19 Ivi, p. 75.
20 Notizie biografiche in B. Zanobio, G. Armocida, voce Corradi, Alfonso, in Dizionario
Biografico degli Italiani, Vol. 29, Roma, 1983, a.i.
21 A. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850,
9 voll., Bologna, 1865-1894. L’Autore sostenne che il trattato del Previdelli fosse una
rielaborazione di quello del Ripa: «Due anni innanzi che venisse alla luce l’opera del
Previdelli, Gian Francesco Riva di S. Nazzaro pubblicava in Avignone un Trattato giu-
ridico intorno la peste da lui composto, stando lontano dalla città travagliata dal conta-
gio, per mostrarsi grato agli Avignonesi che lo avevano chiamato ad insegnare legge in
quella allora floridissima scuola fin dall’anno 1518. Il qual trattato senza dubbio ebbe
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Agosto 2020
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)