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                dettagli sui diversi orientamenti dottrinali e sulle opinioni prevalenti.
                Si veda l’esempio del dibattito dottrinale sorto sulla validità degli atti
                rogati da notaio non immatricolato, che viene esposto dall’Autore con
                agevole facilità di lettura e comprensione anche dai non esperti in ma-
                terie storico-giuridiche, riuscendo a condensare in poche battute un
                argomento di gran lunga complesso:

                   L’ipotesi è stata dapprima discussa ampiamente da Angelo degli Ubaldi
                nella  repetitio  alla  l.  Si  vacantia  del  Codex  (C.10.10.5)  con  riferimento  allo
                stesso testo e alla l. Ubi absunt del Digesto (D.26.5.19) e la sua tesi ha avuto
                grande successo, venendo poi riteputa incidentalmente fino ai vari Tartagni,
                Bertacchini, Giasone, Sandei, Marsili e Filippo Decio. Sicché la dottrina del
                tardo diritto comune l’accetta pacificamente, discutendo se mai l’eccezione in-
                trodotta per i testamenti, per i cui rogiti le forme di diritto comune e particolare
                andrebbero osservate “a unguem”, secondo l’insegnamento ancora ribadito dal
                Tartagni. Riprendendosi un’affermazione di Baldo, si argomenta in contrario
                che se il non immatricolato può essere teste, non gli si può disconoscere la
                possibilità di essere notaio. Piuttosto la dottrina di Angelo avanzava un’altra
                riserva di carattere generale solitamente accolta, che cioè non si trovassero in
                città altri notai. Ma a questo punto soccorre anche la dottrina dell’irreperibi-
                lità, quando appunto ve ne fossero altri in città, ma non disposti a presenziare.
                Con la conseguenza che l’affermazione di hi sostiene la validità dell’atto alle-
                gando l’irreperibilità di altri notai è fondata fino a prova contraria (intentio
                fundata), realizzandosi un’inversione dell’onere della prova 19 .

                   L’esempio citato conferma l’efficacia espositiva del volume, che lo
                rende un valido manuale sul diritto delle emergenze epidemiche in età
                medievale e moderna, i cui consilia proposti dai doctores iuris avreb-
                bero costituito un insuperato punto di riferimento per i giuristi dei
                secoli  successivi,  chiamati  a  cimentarsi  ancora  sulle  problematiche
                derivanti dai fenomeni epidemici. Tanto vero che i rimedi degli uomini
                di legge contenuti nei trattati del Ripa e del Previdelli sarebbero stati
                ancora ricordati nel 1850 dal patologo Alfonso Corradi  nella sua po-
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                derosa raccolta in nove volumi, intitolata Annali delle epidemie occorse
                in Italia dalle prime memorie fino al 1850 . Pur contestando la loro
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                   19  Ivi, p. 75.
                   20  Notizie biografiche in B. Zanobio, G. Armocida, voce Corradi, Alfonso, in Dizionario
                Biografico degli Italiani, Vol. 29, Roma, 1983, a.i.
                   21  A. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850,
                9 voll., Bologna, 1865-1894. L’Autore sostenne che il trattato del Previdelli fosse una
                rielaborazione di quello del Ripa: «Due anni innanzi che venisse alla luce l’opera del
                Previdelli, Gian Francesco Riva di S. Nazzaro pubblicava in Avignone un Trattato giu-
                ridico intorno la peste da lui composto, stando lontano dalla città travagliata dal conta-
                gio, per mostrarsi grato agli Avignonesi che lo avevano chiamato ad insegnare legge in
                quella allora floridissima scuola fin dall’anno 1518. Il qual trattato senza dubbio ebbe



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Agosto 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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