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La nazione impossibile. Antiquaria e preromanità nella politica culturale delle due Sicilie 489
conclusa dall’annessione forzata a Napoli nel 1816. Per questo motivo,
la sua opera era destinata a suscitare presto violente proteste, sorrette
da un chiaro fine politico, dove facevano incontro, sul comune terreno
della difesa delle prerogative di Sicilia, forze tra sé molto diverse, che
andavano dai cirocli culturali siciliani più conservatori ai settori inclini
invece al radicalismo, da esponenti di un datato mondo culturale
ancora avvinto all’esperienza di tardo Settecento sino a nuove genera-
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zioni, profondamente segnate invece dall’esperienza del romanticismo .
D’altronde, quando la proposta di Corcia venne alla luce il dissenso
siciliano agitava da tempo l’agenda politico-culturale del regno meri-
dionale e la proposta dell’erudito partenopeo sembrava per certi versi
giungere fuori tempo massimo. Se ancora la tradizione politica dei due
regni poteva avere un precedente comune nel tempo di governo di Carlo
di Borbone, da entrambe le parti magnificato come un re “nazionale”,
gli anni del predominio francese nella penisola avevano profondamente
separato i due stati meridionali, tanto che l’unificazione intervenuta
nel 1816 si rivelò operazione se non impossibile certo molto contra-
stata. E questo perché, negli anni della contrapposizione a Napoleone,
gli inglesi avevano fatto della Sicilia la base d’appoggio per il loro pre-
dominio nel Mediterraneo e avevano favorito, tramite una guerra che
era combattuta anche sul terreno della propaganda politica, il ritorno
in forze di una specificità isolana, che rappresentava sì prerogativa di
antica data del Regno, ma si colorava ora di nuove tinte in linea con la
tensione ideologica dei tempi. Non è casuale che proprio negli anni
inglesi, mentre l’ostilità politico-culturale si accompagnava alla guerra
combattuta tra i napoleonidi e gli anglo-siculi, facesse le prime prove
Domenico Scinà, il maestro di Michele Amari, attorno al quale si
sarebbe poi raccolta, direttamente o indirettamente, tutta la nuova
generazione siciliana, da Salvatore a Lionardo Vigo sino a Isidoro la
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Lumia, per restare sul solo terreno dei cultori dell’antichità .
A sua volta allievo di Rosario Gregorio, Scinà trasse dal maestro una
prospettiva storica dove alla grandezza dei tempi greci faceva cupo
riflesso la servitù dell’isola in epoca romana. Questa ricostruzione del-
l’antichità di Sicilia escludeva dunque ogni possibile incontro con la
tradizione antiquaria partenopea, che sul felice accordo con Roma
aveva invece costruito la centralità di Napoli e del Mezzogiorno nell’Ita-
lia moderna. Le ricerche di Scinà avrebbero dunque fatto centro sì
22 Sul punto, brillanti pagine in G. Giarrizzo, dal Vespro all’Unità d’Italia, Utet,
Torino, 1989, pp. 749-62.
23 Su D. Scinà, si veda P. Casini, L’empirismo e la vera filosofia: il caso Scinà, «Rivista
di filosofia», 80 (1989), pp. 351-65 e G. Cotroneo, L’ultimo degli illuministi: D. Scinà, «Filo-
sofia e società». 7 (1983), pp. 5-42.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)