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La nazione impossibile. Antiquaria e preromanità nella politica culturale delle due Sicilie 493
fecero senza de’ Greci, non goderono di un proprio governo, non ebbero maniere
proprie di vivere, non alcuna religione, non deità che greche non fossero state, né
regole sociali, o instituti che vogliam chiamarli? Abitavano forse ne’ boschi e nelle
spelonche oppure aveano delle città, e queste città quali furono? Ed ove delle città
aveano o sia che socievolmente viveano, conobbero l’agricoltura? Nell’uno e nel-
l’altro caso quali arti mai ebbero? Forse di così fatti isolani in mezzo a tante piccole
isolette quasi immediate, e fra due continenti sì prossimi, ne’ quali poteano avere
delle attinenze, ebbero ancor commercio? Quanta fu infine la durata loro dopo
l’arrivo delle greche colonie se i greci tennero sempre le armi in mano su di costoro
che chiamavano barbari, e se tutti non fu loro possibile sterminare? 29
Ora, era proprio su questo terreno che Natale incontrava l’opera di
Micali, alla quale aveva modo di fare un preciso accenno quando sot-
tolineava come, per troppo tempo, ugualmente distorta fosse stata la
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«storia della vecchia Italia, quando fu limitata a’ fatti dei soli Romani» .
Tuttavia, nel suo lavoro, la necessità di recuperare l’antica tradizione
italica dell’isola non declinava apertamente in una chiave del tutto
ostile ai greci e ancor meno ai romani. È vero che sempre sul modello
micaliano imputava agli uni come agli altri l’occultamento della prece-
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dente antichità dell’isola . ma per un verso aveva parole di elogio nei
confronti dei greci che molto, sull’esempio delle parole dello Scinà, gli
sembravano avere fatto per avviare lo straordinario sviluppo culturale
dell’isola 32 e per altro la dominazione romana gli sembrava passaggio
traumatico e doloroso e tuttavia indispensabile: Natale ricordava sì che
i conquistatori dell’isola «riducendola in condizion di provincia, fecero
cessare in un col dominio ogni greca virtù» 33 e dunque ne mortificas-
sero anche il profilo culturale, ma per altro verso era disposto ad
ammettere che «senza i romani […] rimaneva l’antica Italia tra sé divisa
e debole, qual poi divenne disciolto e rovinato da’ barbari l’impero
29 Ivi, p. 3.
30 Ivi, p. 16. Ma si veda anche, alla p. 11, la presa di distanze da ogni pretesa di far
giungere di Grecia anche le popolazioni dell’antico Lazio: Dionisio di Alicarnasso «pose
alla tortura il proprio cervello e rinunciò ad ogni sano giudizio quando trattossi distor-
cerlo per dare come originaria di Grecia la barbara gente del Lazio».
31 Ivi, p. 4: « … quasi che que’ più antichi abitanti fossero stati meno che fantasmi e
forse più al nulla vicini. Di che sul conto degli autori greci se ne scorge la ragione, e la
metteremo in chiaro a suo luogo; ma non perciò se ne può scusare l’oblio de’ moderni».
32 Ivi, p. 28 «i greci …vi cagionarono una non più veduta rivoluzione, che tutto fece
mutare l’aspetto dell’isola e nuovi costumi introdusse, nuovi principi, nuovi ordini poli-
tici, nuovi linguaggi, formò uomini nuovi. Rivoluzione e cangiamento, che a’ quei barbari
costò la perdita della loro indipendenza e talvolta delle città loro e della libertà personale.
Ma gioconda e beata perdita, se di più qualità umane, di giustizia, di virtù, d’ogni altro
pregio della vita li contraccambiò ed arricchì. Nulla poi certo ebbero a dolersi se venuti
a parte della greca civiltà, del sapere, del coraggio, elevarono l’isola insieme co’ greci abi-
tatori a quel grado di opulenza e gloria, ove mai più non pervenne».
33 Ivi, p. 14.
n.41 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)