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Sul mercato degli schiavi a Napoli in età moderna                693



             moriscos all’interno del Regno faceva sì che nel momento in cui veni-
             vano importati schiavi che si definivano cristiani, il fattore che ogget-
             tivamente  aveva  maggior  peso  era  il  colore  della  loro  pelle.
             L’incertezza a determinare la loro vera storia e l’ambiguità della loro
             identità erano sufficienti a far sì che venissero ridotti in schiavitù.
             La contiguità tra due mondi tra loro politicamente ostili, quello cri-
             stiano e quello musulmano, permetteva un continuo scambio di rela-
             zioni, per lo più commerciali, che andavano ad alimentare l’economia
             della schiavitù e del riscatto. In tal senso Valencia non rappresenta
             un’eccezione e anzi il quinto che veniva introitato dalle casse del
             Regno è testimonianza di quanto il mercato degli uomini fosse utile
             a finanziare la macchina statale.
                Riprendendo  le  definizioni  di  Fontenay,  se  il  valore  d’uso  degli
             schiavi veniva di fatto determinato dall’alto, attraverso una stima par-
             ticolare effettuata caso per caso su cui gli stessi schiavi non avevano
             alcuna voce in capitolo – come nell’esempio valenciano – nel caso del
             riscatto – quando dunque ricorre un valore di scambio, come nell’esem-
             pio dei 23 uomini riscattati dalle galere napoletane – è necessario inter-
             rogarsi su quanto potere di contrattazione avessero i prigionieri. È certo
             che, ancor di più che per la stima del prezzo degli schiavi, anche per i
             cautivos la determinazione del loro valore avveniva per mezzo di agenti
             che, sebbene si muovessero all’interno di compagini statali ben deter-
             minate, ciò non di meno andavano a decidere caso per caso, attraverso
             contrattazioni private, il prezzo del riscatto.
                Il concetto di frontiera chiusa, inaccessibile e militarizzata viene
             dunque messa in forte discussione da una serie di riscontri, che ci
             dicono quanto il Mediterraneo fosse un’area permeabile e di continua
             osmosi tra le due parti tra loro confliggenti. In tal senso è bene tenere
             a mente anche quanto l’abiura o il ritorno alla propria fede fossero pro-
             cessi che sottendevano spesso dinamiche non tanto religiose, quanto
             economiche. Ad esempio, per quanto riguarda gli schiavi al remo delle
             galere, veniva loro disincentivana la conversione, perché ciò avrebbe
             significato un miglior trattamento nei loro confronti e quindi un aggra-
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             vio dei costi di gestione .
                È la crescente consapevolezza di questi tratti, spesso resi più evi-
             denti proprio dalle possibili comparazioni, a far vivere agli studi sulla
             schiavitù nel Mediterraneo in età moderna un momento particolar-
             mente favorevole dal punto di vista dell’interesse e del rinnovamento
             storiografico. Fino a non molti anni fa questo campo di indagine rima-




                26  M. Bosco, Schiavitù e conversioni religiose nel Mediterraneo moderno. Un bilancio
             storiografico, «Daedalus. Quaderni di Storia e Scienze Sociali», 5/2014, pp. 9-36, p. 2.


             n.41                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
                                                      ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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