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498 Antonino De Francesco
– dove ancora era chi nulla intendeva concedere alla modernità cultu-
rale che l’Italia unita reclamava – appariva, se possibile, come una
larga apertura di credito verso il nuovo quadro politico. La sua posi-
zione finiva, non di meno per riassumere quella di larga parte del
mondo isolano, che nell’insieme tenne fermo sulla scelta italiana senza
mai rinunciare alla propria particolarità, poggiando anzi su quest’ul-
tima per legittimare modalità e forme, e dunque anche condizioni, gra-
zie alle quali la scelta unitaria aveva preso forma. In questo quadro,
trovava sostanza il ricorso all’opera di Micali, che diveniva un riferi-
mento obbligato presso quanti, in occasione della improvvisa soluzione
del problema italiano, non avevano interamente (o addirittura del tutto)
apprezzato i concreti termini di quel risultato.
Dopo il 1860, le pagine dell’erudito livornese divennero infatti il
punto d’appoggio per chi, da destra come da sinistra, avrebbe preso a
lamentare la mera annessione sabauda di tutta la penisola e reclamato
– vuoi in nome degli antichi stati italiani, vuoi sotto il segno di altra Ita-
lia, democratica e repubblicana – una netta presa di distanze dal nuovo
stato unitario. Non solo: come gli esempi di Corcia e di La Lumia bril-
lantemente indicano, anche nel campo di quanti avrebbero accettato il
primato sabaudo, il richiamo a Micali tornò utile per tenere vivo il con-
vincimento che l’unità non dovesse essere uniformazione, ma semplice
presa d’atto del concorso di tanti, tutti tra sé diversi, a una nuova iden-
tità collettiva. Con gli inizi dello stato unitario, quello che era sembrato
la quadratura del cerchio capace di tutto tenere assieme, quella che era
parsa, in primis a Gioberti, una convincente proposta di portare all’in-
contro culturale, sotto il segno d’Italia, esperienze storiche tanto diverse,
d’improvviso franava e sembrava addirittura legittimare la prospettiva
opposta. Iniziava per l’opera di Micali un tormentato cammino negli
anni dell’Italia liberale, perché la sua ripetuta evocazione nel campo
della sinistra repubblicana come in quello dei legittimisti molto avrebbe
insospettito i sostenitori dello stato liberale e suggerito loro di ribadire,
proprio sul terreno culturale, che nulla di moderno, niente di nazionale
stava in quel lontano lavoro erudito. Il silenzio presto destinato a coprire
la sua opera da parte del mondo culturale che si sarebbe fatto carico di
coadiuvare l’immane sforzo di nazionalizzazione dello stato unitario
questa preoccupazione rifletteva: e cioè che dietro il gusto per l’erudi-
zione e per l’antiquaria stesse non solo la struggente nostalgia per un
trascorso non più compatibile, ma prendesse pure forma una clamorosa
contestazione della ancor fragile unità.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017 n.41
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)