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La nazione impossibile. Antiquaria e preromanità nella politica culturale delle due Sicilie 495



                Nel caso specifico della bassa Italia, se la politica portava le classi
             dirigenti al gran passo dell’unità, tutto questo non implicava la dismis-
             sione  dei  tanti  strumenti  mediante  i  quali,  in  precedenza,  proprio
             facendo ricorso ai lontani trascorsi di splendore, molto avevano provato
             a legittimare – ovviamente sotto la loro guida – una specificità nazionale
             dei popoli meridionali. E infatti, se alcuni gruppi di potere delle tra-
             montate Due Sicilie seppero puntualmente cogliere, nel tornante del
             1860, un punto di non ritorno, destinato a travolgere un mondo cul-
             turale ed un universo ideologico ormai obsoleti, altri (probabilmente i
             più) sulla tradizione ereditata dal tempo della Restaurazione provarono
             ancora a tenere fermo. Se ne voglion prova i tentativi, presto falliti, di
             puntare su Napoli capitale d’Italia nonché le pretese del mondo erudito
             del tmepo di proseguire sul terreno dell’antiquaria quale base di appog-
             gio per reclamare una visibilità, se non addirittura un primato, che la
             vicenda politica si era invece incaricata di mortificare.
                Proprio Nicola Corcia, per restare sul percorso intellettuale di un
             uomo che si è visto riassumere il tentativo (fallito) di nazionalizzazione
             del Mezzogiorno, dopo il 1860 non si dette affatto per vinto, ma conti-
             nuò indomito i propri studi eruditi all’interno delle istituzioni accade-
             miche partenopee, giusto cambiando di segno il profilo politico del
             proprio impegno. Nel nuovo quadro istituzionale, egli esortò, ancora
             lungo tutti gli anni Settanta, a mai deflettere circa le origini greche
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             degli uomini «che si stabilirono nella media e inferiore Italia» . Questa
             scelta stava a riflettere la sua volontà di fare dell’antica federazione tra
             Roma e Napoli il punto di raccordo del nuovo quadro unitario, nel pro-
             posito di conservare all’antica capitale delle Due Sicilie un rilievo nel
             nuovo quadro italiano che tutto suggeriva invece dovesse venir meno.
             Da qui, da questa drammatica contraddizione tra gli splendori pun-
             tualmente elencati d’un tempo trascorso e le difficoltà ancor più pungenti
             di quello presente prendeva origine una posizione, largamente in circolo
             negli ambienti partenopei dei primi anni unitari, dove la rivendicazione
             di un primato culturale finiva per fare ricasco anche sul terreno di una
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             specificità antropologica . Sul punto non è possibile indugiare, ma sia



                36  N. Corcia, Di una ignota città greca in Italia, «Atti della R. Accademia di archeologia,
             lettere e belle arti», 7 (1875), p. 44. Ma vedi anche altro suo scritto, ivi, dal titolo Di
             Arione e Falanto e della più antica origine di Taranto, le critiche riservate alla linguistica
             e all’antropologia storica «nella brama ancora di voler sapere ad ogni costo i nostri pro-
             toparenti, la lor vita primitiva, la lingua che parlarono e le regioni che primamente occu-
             parono» (p. 60).
                37  «Fa meraviglia che tanti chiarissimi scrittori… abbiano perduto di vista il grecismo
             delle nostre provincie meridionali napoletane, mentre bastava solo dare un’occhiata
             all’opera del Tafuri per vedere il lungo catalogo che egli tesse degli scrittori greci che sono
             fioriti ad onore d’Italia, di cui le nostre provincie meridionali napoletane fanno così gran


             n.41                         Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017
                                                      ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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