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496 Antonino De Francesco
qui il caso di ricordare come proprio su questo terreno avrebbe preso
slancio d’un lato la struggente rivendicazione di un passato glorioso a
fronte di un modesto presente, dall’altro la contestazione, dall’altra parte
d’Italia, di un mondo che presentandosi come alfiere della tradizione e
dell’attaccamento alle proprie usanze di tempi primordiali dava prova di
un passatismo destinato a far problema sulla via della modernità.
E sulla stessa linea, seppur sotto il diverso angolo di chi aveva invece
promosso l’unità italiana e dunque molto si attendeva dal coraggio della
scelta compiuta, avrebbe mosso il mondo culturale siciliano negli anni
successivi al 1860. Questo si era a sua volta presentato diviso all’ap-
puntamento con Garibaldi ed era rimasto in bilico tra chi aveva ormai
fatto la scelta italiana – tale il caso di Michele Amari nel corso del suo
secondo esilio parigino – e quanti, sulle tracce del suo mentore Dome-
nico Scinà, sempre rimasero sul punto di una primazia siciliana nel
contesto di un comune processo di civilizzazione italiana. Lo suggerisce
la raccolta di canti popolari che, ancora alla vigilia del crollo delle Due
Sicilie, altro letterato della cerchia di Scinà, Lionardo Vigo, si premurò
di dare alle stampe: nell’introduzione, egli ribadiva il proprio regionismo,
ricordando come solo l’ignoranza degli altri italiani potesse indurre a
una equivalenza tra siciliani e napoletani; non solo, da questo assunto
Vigo prendeva le mosse per un salto triplo all’indietro nel tempo, che
proprio sulla scorta di Micali, puntualmente chiamato a sostegno, lo
portava ad individuare negli antichi siculi la prima popolazione italica,
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quella da cui tutte le altre avrebbero poi tratto origine . Da qui, tor-
nando di gran carriera al tempo della storia, la sua considerazione sulla
lingua siciliana quale radice di tutte le parlate della penisola e conse-
guentemente la derivazione da quella dello stesso toscano di Dante.
Era una posizione nei confronti della quale poco o nulla aveva
potuto il 1860 e ancor meno avrebbero inciso i primi, per altro difficili,
anni dell’unità. Nel tempo dell’Italia liberale, a ricordo e monito della
grande generosità dell’isola, che aveva sacrificato la propria pluriseco-
lare peculiarità sull’altare della causa italiana, Vigo poteva orgogliosa-
mente insistere sulla specifica superiorità siciliana nel contesto
parte, dai tempi remotissimi fino al secolo XVI». T. Semmola, Del grecismo delle provincie
meridionali napoletane e particolarmente delle poesie greche, ivi, 6 (1872), p. 201. Ma vedi
anche M. Cardona, Delle origini della città di Napoli, Stabilimento tipografico. Napoli, 1880,
dove alla p. 5 si insiste sulla particolarità della città in ragione delle origini greche.
38 «Ad onta del buio della storia, della perplessità degli eruditi, si conquistato il vero,
unica gente aver popolato Italia dalle Alpi al mare e le isole adjacenti. Queste mie cre-
denze, dapprima quasi inspirate, quindi riconfermate dallo studio delle analogie, da’ con-
forti storici e filologici, mi vennero assodate dalle ricerche del Micali e del Niebuhr che,
dietro le orme dell’immenso Muratori, portarono la fiaccola della ragione tra le tenebre
dell’antichità». L. Vigo, Canti popolari siciliani, Accademia Gioenia, Catania, 1857, p. 7.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017 n.41
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)