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           qui il caso di ricordare come proprio su questo terreno avrebbe preso
           slancio d’un lato la struggente rivendicazione di un passato glorioso a
           fronte di un modesto presente, dall’altro la contestazione, dall’altra parte
           d’Italia, di un mondo che presentandosi come alfiere della tradizione e
           dell’attaccamento alle proprie usanze di tempi primordiali dava prova di
           un passatismo destinato a far problema sulla via della modernità.
              E sulla stessa linea, seppur sotto il diverso angolo di chi aveva invece
           promosso l’unità italiana e dunque molto si attendeva dal coraggio della
           scelta compiuta, avrebbe mosso il mondo culturale siciliano negli anni
           successivi al 1860. Questo si era a sua volta presentato diviso all’ap-
           puntamento con Garibaldi ed era rimasto in bilico tra chi aveva ormai
           fatto la scelta italiana – tale il caso di Michele Amari nel corso del suo
           secondo esilio parigino – e quanti, sulle tracce del suo mentore Dome-
           nico Scinà, sempre rimasero sul punto di una primazia siciliana nel
           contesto di un comune processo di civilizzazione italiana. Lo suggerisce
           la raccolta di canti popolari che, ancora alla vigilia del crollo delle Due
           Sicilie, altro letterato della cerchia di Scinà, Lionardo Vigo, si premurò
           di dare alle stampe: nell’introduzione, egli ribadiva il proprio regionismo,
           ricordando come solo l’ignoranza degli altri italiani potesse indurre a
           una equivalenza tra siciliani e napoletani; non solo, da questo assunto
           Vigo prendeva le mosse per un salto triplo all’indietro nel tempo, che
           proprio sulla scorta di Micali, puntualmente chiamato a sostegno, lo
           portava ad individuare negli antichi siculi la prima popolazione italica,
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           quella da cui tutte le altre avrebbero poi tratto origine . Da qui, tor-
           nando di gran carriera al tempo della storia, la sua considerazione sulla
           lingua siciliana quale radice di tutte le parlate della penisola e conse-
           guentemente la derivazione da quella dello stesso toscano di Dante.
              Era  una  posizione  nei  confronti  della  quale  poco  o  nulla  aveva
           potuto il 1860 e ancor meno avrebbero inciso i primi, per altro difficili,
           anni dell’unità. Nel tempo dell’Italia liberale, a ricordo e monito della
           grande generosità dell’isola, che aveva sacrificato la propria pluriseco-
           lare peculiarità sull’altare della causa italiana, Vigo poteva orgogliosa-
           mente  insistere  sulla  specifica  superiorità  siciliana  nel  contesto




           parte, dai tempi remotissimi fino al secolo XVI». T. Semmola, Del grecismo delle provincie
           meridionali napoletane e particolarmente delle poesie greche, ivi, 6 (1872), p. 201. Ma vedi
           anche M. Cardona, Delle origini della città di Napoli, Stabilimento tipografico. Napoli, 1880,
           dove alla p. 5 si insiste sulla particolarità della città in ragione delle origini greche.
              38  «Ad onta del buio della storia, della perplessità degli eruditi, si conquistato il vero,
           unica gente aver popolato Italia dalle Alpi al mare e le isole adjacenti. Queste mie cre-
           denze, dapprima quasi inspirate, quindi riconfermate dallo studio delle analogie, da’ con-
           forti storici e filologici, mi vennero assodate dalle ricerche del Micali e del Niebuhr che,
           dietro le orme dell’immenso Muratori, portarono la fiaccola della ragione tra le tenebre
           dell’antichità». L. Vigo, Canti popolari siciliani, Accademia Gioenia, Catania, 1857, p. 7.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIV - Dicembre 2017    n.41
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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