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                nostro Michele, il nipote più caro almeno sino al 1900, quando si
                rifiutò di entrare in seminario optando per il concorso per l’accesso
                alla Scuola Normale.
                   In occasione del battesimo di Michele, l’8 gennaio 1880, la rottura
                con la sorella Lucrezia non era ancora avvenuta, perché il sacramento
                fu impartito da don Michele con Lucrezia che fungeva da madrina e il
                marito Paolo Spallino da padrino. Lucrezia e Paolo erano sposati da
                pochi mesi (settembre 1879) e il matrimonio era stato celebrato nella
                chiesetta del Monte Calvario, vicinissima alle abitazioni delle due fa-
                miglie, proprio da don Michele. Spallino era un commerciante (formag-
                gio, manna, olio) in grandissima ascesa: alcuni decenni dopo acquistò
                da un nobile in forte decadenza il più bel palazzo del paese e il sindaco
                lo indicava come il “Creso del circondario”. Il figlio Antonio Spallino
                sarà sindaco di Castelbuono nel 1920-21, assassinato da pregiudicati
                locali e a lungo rimpianto dalla popolazione.
                   La nonna paterna di Michele, Rosa Mogavero, apparteneva a una
                famiglia molto nota a Castelbuono. Era sorella di Nicasio Mogavero
                (1821-1887), laureato in legge, che nel 1856-60 era stato sindaco del
                paese, fece parte successivamente del Consiglio comunale nell’ottobre
                1860, nel novembre 1861, nel 1864 e ininterrottamente dal 1872 al
                1880; diede infine alle stampe nel 1864 il poemetto in cinque canti
                Giuseppe Garibaldi – che gli valse «ammirazione e gratitudine» da parte
                dell’eroe – cui seguirono il poema in dieci canti Giuseppe Garibaldi nel
                1869, un’ode a Giovanni Nicotera nel 1877, la canzone Per la morte di
                Vittorio Emanuele II nel 1878 e la canzone In morte di Giuseppe Gari-



                castigo per i delitti ed una ricompensa per la virtù, formolo la mia disposizione testa-
                mentaria nel modo che segue: Anzi tutto istituisco mio erede universale del mio intiero
                patrimonio composto di beni mobili ed immobili, mio fratello Lorenzo Lupo, raccoman-
                dandogli che coi prodotti della mia raccolta eredità s’impegni riuscire ad una professione
                uno dei suoi figli maschi.
                   Per questa istituzione di erede gli dò obbligo di pagare infra due anni in due rate lire
                seicento a mio nipote Lorenzo Galbo, lire trecento ad Antonio Ficile, mio affezionatissimo
                garzone, non che far celebrare in suffragio della mia anima una messa in ogni primo
                mercoledì di ogni mese all’altare del Sacro Cuore di Gesù nella Venerabile Chiesa del
                Calvario.
                   Ricordevole che oltre il rogo non vive ira (?) nemica, ai miei fratelli Giuseppe ed An-
                tonio, alle mie sorelle Lucrezia e Vincenza, che ferocemente ispirati agli istinti di Cajno
                mi hanno moralmente ucciso non una ma mille volte, lascio in retaggio non un sputo
                d’infamia di che fossero stati meritevoli ma da buono cristiano il mio perdono come per
                dare un’ora di pace nei giorni quando alla memoria del mio nome verranno turbati da
                crudele rimorso.
                   È questo il mio testamento olografo che ho scritto di mia propria mano. Sacerdote
                Michele Lupo».
                   Ringrazio i fratelli professore Giovanni e ingegnere Vincenzo Prisinzano che lo hanno
                messo a mia disposizione.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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