Page 202 - 1
P. 202

744                                                Michele Lupo Gentile


                1. L’infanzia
                             12

                   Nacqui in un paese assai ridente, quasi alle falde delle Madonie, da
                un piccolo possidente, e da una donna di casa tutta dedita alle cure
                della famiglia. Erano le quattro e mezzo di notte e la neve cadeva a lar-
                ghe falde sui tetti e le strade. Questa circostanza non è stata per me di
                poca importanza, non avendo potuto le stelle benigne o maligne influire
                sul mio destino. Quel poco che ho fatto e che continuo a fare nella vita
                privata e nella scuola, debbo esclusivamente a me, coll’aiuto solo di Dio
                Padre Onnipotente. Mio padre era un bell’uomo, alto e dritto, robusto e
                barbuto, somigliantissimo a Garibaldi; di carattere fino e tenace, era
                orgoglioso  di  aver  fatto  la  campagna  del  ’66  [terza  guerra  d’indipen-
                denza] come umile soldato nell’esercito del Lamarmora. Mia madre era
                una piccoletta, dal viso rotondo e lineamenti delicati, ma forte e operosa,
                e specialmente di un’attività straordinaria nelle faccende domestiche.
                Era soprattutto religiosa, e quasi ogni sabato digiunava e si metteva in
                grazia di Dio coll’ostia consacrata che riceveva con devozione nella chie-
                setta dei Cappuccini. Quando ripenso a lei, rivedo la sua figura sempre
                in movimento, ora salendo le scale carica di pane, uova, boccali di vino
                e ceste ricolme di ogni specie di provviste, allestendo saporite e abbon-
                danti minestre; ora al telaio a tessere la biancheria di lino, già seminato,
                gramolato e filato dalle nostre contadine.
                   Riandando con affettuoso senso nostalgico agli anni della fanciul-
                lezza, mi sembra di risentire ancora, velate di profonda e soave poesia,
                le voci delle campane del mio dolce paese. Quando il sole baciava cogli
                ultimi suoi raggi le Madonie e le campagne circostanti, la campana di
                Santo Antonino, dalla voce quasi umana, annunziava coi sui tocchi
                baritonali e tristi l’Ave Maria, cioè la prossima fine del giorno e il pau-
                roso mistero della notte, quasi preludio della fine delle cose umane. La
                stessa  campana,  invece,  all’alba,  coi  medesimi  tocchi,  ma  leggeri  e
                quasi allegri, suscitava sentimenti diversi, richiamando i lavoratori a
                sorgere dal caro letto per riprendere, con fiducia nella Provvidenza, le
                usuali e sante occupazioni campestri. La sera di sabato, e nelle vigilie
                dei giorni festivi, tutte le campane del paese, capeggiate da quella di
                Santo Antonino, irrompevano a un tratto in uno scoppio di voci argen-
                tino, piene di conforto e di promesse. Ma alle volte, all’improvviso, an-
                che in pieno giorno, mentre il sole irradiava a sé i suoi splendori, che
                si spandevano nell’aria tiepida e dolce, e tutti sentivano la gioia di vi-
                vere e di lavorare, la campana di Santo Antonino intonava lugubri rin-
                tocchi, infondendo nell’animo malinconia e sgomento. Le finestre e i
                balconi allora si aprivano come per incanto, e le donne si affacciavano


                   12  Le Madonie, n. 10-15 maggio, n. 11-1 giugno 1952, n. 12 -15 giugno 1952.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Dicembre 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
   197   198   199   200   201   202   203   204   205   206   207