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Vivere e morire fuori patria: i testamenti genovesi in Oriente 329
Sono i lasciti religiosi a mostrare in maniera più efficace la sfera
affettiva di molti emigrati, che anche dopo decenni spesso si sentivano
legati alle chiese e agli enti assistenziali dei propri paesi natii, a cui
destinavano denaro e reliquie che avevano guadagnato durante la loro
vita nel Levante. Ogni emigrazione era fatta di contraddizioni e impulsi
opposti, da una solidarietà “nazionale” fino, invece, alla distanza da
una città che non si percepiva più come propria. I testamenti veneziani
vergati nei porti del Mar Nero lasciano intuire le stesse tendenze con-
trastanti: alcuni testatori veneti sembravano totalmente ambientati
nei nuovi insediamenti orientali, come mostra la geografia dei loro la-
sciti; altri invece ancora destinavano una parte dei loro averi ai poveri
e agli orfani della città lagunare o all’acquisto di pietanze da offrire
nella propria contrada a Venezia . Sarebbe auspicabile un confronto
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di più ampia scala che comprendesse anche altre comunità mercantili
presenti in Oriente, innanzitutto pisani e catalani, per i quali si atten-
dono lavori specifici sui testamenti vergati Oltremare, così da permet-
tere un confronto dettagliato sulle tendenze. Sebbene sia possibile pre-
sumere risultati ragionevolmente simili, un confronto può contribuire
a mettere in luce le singole particolarità di queste comunità latine nel
Levante.
Dietro alla mole dei testamenti si nascondono comunque storie in-
dividuali e traspaiono spesso drammi umani, come nel caso del geno-
vese Giovanni de Favrega: sua moglie Catalina era incinta, ma Gio-
vanni, ammalato a Cipro, temeva non l’avrebbe mai più rivista. Così,
se il figlio fosse venuto alla luce, il testatore lasciava tutto alla moglie,
mentre in caso fosse morto durante il parto, a Catalina rimaneva il
valore della dote, com’era d’uso. Il figlio, se maschio, avrebbe ricevuto
una parte dell’eredità insieme coi suoi fratellini Domenico e Martino,
se invece femmina, una giusta dote per sposarsi come l’altra figlia,
76 Per citare solo alcuni esempi, i lasciti pii di Simone Brandaia erano destinati a
chiese locali di Tana, ma egli inviava i figli a studiare a Venezia. F. Pucci Donati, Ai
confini dell'Occidente. Regesti degli atti dei notai veneziani a Tana nel Trecento: 1359-
1388 cit., doc. 1, p. 19. Tana, 7 agosto 1359. Ghirardino di Parma invece, pur sepolto a
Tana, ordinava di celebrare 500 messe per la sua anima a Venezia e lasciava 6 sommi
da distribuire a Venezia ai poveri. Ivi, doc. 272, p. 92. Tana, 21 luglio 1362. Il veronese
Bonafé de Zena lasciava 10 ducati per le messe da celebrare a Tana, ma 100 soldi in
opere pie per i piccoli orfani di Verona. Ivi, doc. 273, p. 93. Tana, 3 agosto 1362. Gu-
glielmo Bon di Venezia, interprete del comune a Tana, sembrava essersi integrato per-
fettamente e ogni suo lascito era rivolto a enti e persone della città, tra cui la confrater-
nita di Sant’Antonio di Tana. Ivi, doc. 276, pp. 94-95. Tana, 30 agosto 1362. Tutto al
contrario Nicoletto Sperzignano del quartiere della Giudecca, pur abitante a Tana, la-
sciava 5 ducati per del cibo da offrire nella propria contrada a Venezia, che non aveva
mai dimenticato. Ivi, doc. 275, p. 94. Tana, 21 luglio 1362. Uno studio sullo stesso
argomento, dal punto di vista veneziano, potrebbe contribuire grandemente alla com-
parazione tra i lasciti testamentari degli abitanti delle due città mercantili e marittime.
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Agosto 2021
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)