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           liani esponenti di primo piano nel dibattito politico italiano fa capire
           quindi  che,  nel  momento  in  cui  veniva  realizzato,  il  progetto  della
           Scuola di commercio mutava radicalmente rispetto alle premesse degli
           anni precedenti. Nei suoi fondatori non si rilevava più solo la ricerca
           di competenze specifiche nei rispettivi campi disciplinari, ma soprat-
           tutto la coerenza con una strategia di politica estera del giovane Regno
           d’Italia (o quantomeno di alcune sue componenti di governo). Tale stra-
           tegia era tesa da un lato a estendere o programmare il proseguimento
           del conflitto con l’Austria-Ungheria fino alla conquista della Venezia
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           Giulia e dell’Istria , e dall’altro a delineare una strategia internazionale
           della questione adriatica da considerare storicamente come il mercato
           naturale di Venezia dinanzi alle pretese dell’Austria-Ungheria e della
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           Confederazione germanica . Combi stesso del resto, da professore di
           Ca’ Foscari e da assessore al Comune di Venezia, lo avrebbe reso palese
           in un dibattito nel Consiglio comunale del 30 gennaio 1884: discutendo
           l’approvazione di un contributo municipale per l’introduzione dell’in-
           segnamento della lingua rumena a Ca’ Foscari, avrebbe precisato in
           quell’occasione che, anche se «la politica non ha a che fare con l’inse-
           gnamento», la funzione della Scuola di commercio e dei suoi insegna-
           menti andava letta nel contesto in cui «Venezia ha reso veneziano tutto
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           l’Adriatico» .
              L’affermazione del primato di Venezia, entro una retorica risorgi-
           mentale che rievocava il dominio della Serenissima e in una logica non
           più di collaborazione ma di competizione tra i porti dell’Adriatico, san-
           civa non solo il tramonto dell’utopia tardo settecentesca di un «sistema»
           integrato del commercio adriatico, ma anche dell’idea dell’utilità stessa
           dei porti franchi, destinati a entrare nel mito per il ruolo che avevano
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           svolto in età moderna .





              53  Sul ruolo di Costantini presso Bettino Ricasoli si sofferma anche A. Millo, Un porto
           fra centro e periferia (1861-1914), in R. Finzi, C. Magris, G. Miccoli (a cura di), Storia
           d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. Il Friuli-Venezia Giulia, I, Einaudi Torino, 2002, p.
           190.
              54  G. Stefani, Il problema dell’Adriatico nelle guerre del Risorgimento, Del Bianco,
           Udine, 1965, pp. 76-85.
              55  Così M. Berengo, Le origini dell’insegnamento di filologia romanza a Ca’ Foscari cit.,
           p. 17.
              56  Il dibattito già tardo settecentesco sull’utilità e sul declino dei porti franchi è stato
           ridiscusso recentemente da C. Tazzara, The Free Port f Livorno and the Trasformation of
           the Mediterranean World 1574-1790, Oxford University Press, Oxford 2017, pp. 232-260;
           altri riferimenti in C. A. Iodice, L’istituzione del porto franco in un Mediterraneo senza
           frontiere, «Politics. Rivista di Studi Politici», 5, 1 (2016), pp. 19-33, online in https://rivi-
           stapolitics.files.wordpress.com/2016/07/02_politics_5_iodice1.pdf e in G. Mellinato,
           L’Adriatico conteso cit., pp. 123-124.



           Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018       n.43
           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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