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                   b) bosco. Più tardi chiamato anche feudo di San Leo, si estendeva a

                sud del centro abitato e fino al crinale dei monti Peloritani, e confinava
                a est con il bosco di Saponara e a ovest con quello di Monforte. Assi-
                curava al monastero legna e ghiande .
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                   c) iura censualia. Si trattava, in particolare, di censi su mulini e
                condotte (di acqua) posti nel territorio romettese e, nella fattispecie,
                sui mulini di Nicola Parisio, di mastro Giovanni de Paulo e del mona-
                stero di Sant’Angelo. Proprio per il suo valore economico nella società
                medievale , il mulino, in Sicilia, era considerato una res reservata al
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                sovrano sin dall’età normanna. Per la sua costruzione (come anche per
                il  ripristino),  difatti,  era  necessaria  l’autorizzazione  regia  per  mezzo
                della dogana, mentre il relativo censo veniva versato al locale baglio
                (che nel nostro caso era proprio il monastero, v. supra lettera a) . Mu-
                                                                             76
                lini e paratori, dunque, restavano sotto il controllo della secrezia e,
                non a caso, l’11 novembre 1448, Santa Maria di Basicò veniva auto-
                rizzato dal viceré a riattivare un mulino che possedeva «in la flomara
                di Sapunara oy di Ramecta» e che, per il suo funzionamento, potesse

                ex nunc in antea perpetuamenti prindiri e fari prindiri di undi meglu li parrà
                le acque di la dicta flomara di Sapunara e farindi machinari lu dictu mulinu,
                fachendu quilli prisi, sayi, conducti et aqueducti, ki necessarii sirrannu ad
                opu et pro usu di fari machinari lu dictu molinu, la comoditati, rendita et
                cabella di lu quali integre et perpetualiter sia di lu prefatu monasteriu et soy
                monachi, li quali poczani adrendari et incabellari lu dictu molinu ad loro vo-
                luntati et a cui meglu li parrà 77 .

                   d) due terre lavorative e seminatorie della capacità, rispettivamente,

                di 18 e 8 tomoli .
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                   74  P. Corrao, Per una storia del bosco e dell’incolto in Sicilia tra XI e XIII secolo, in B.
                Andreolli, M. Montanari (a cura di), Il bosco nel Medioevo, Clueb, Bologna, 1988, pp.
                349-368. Sulle risorse boschive siciliane v. anche H. Bresc, “Disfari et perdiri li fructi et
                li aglandi”. Economia e risorse boschive nella Sicilia medievale (XIII-XV secolo), «Quaderni
                Storici», 54 (1983), pp. 941-969.
                   75   V. S.  Tramontana, Mulini  ad  acqua  nella  Sicilia  normanna,  in Cultura  e  società
                nell’Italia medievale. Studi per Paolo Brezzi, 2 voll., Istituto storico Italiano per il Me-
                dioevo, Roma, 1988, II, pp. 811-824; H. Bresc, Moulins et paroirs: l’équipement hydrau-
                lique de la Sicile (XII e -XIII e  siècles), in L. Balletto (a cura di), Oriente e Occidente fra Me-
                dioevo ed Età Moderna. Studi in onore di Geo Pistarino, vol. I, G. Brigati, Genova, 1997,
                pp. 143-163.
                   76  Secondo Bresc, in Sicilia, nei secoli dell’età di mezzo, «il reddito del mulino in piena
                attività si può paragonare a quello di un piccolo feudo» (H. Bresc, Mulini e paratori nel
                medioevo siciliano, in H. Bresc, P. Di Salvo, Mulini ad acqua in Sicilia, L’Epos, Palermo,
                2001, pp. 25-48: 46 e bibl. ivi cit.).
                   77  F. Terrizzi, Santa Eustochia Smeralda, cit., p. 92 n. 78.
                   78  Nel messinese un tumulo corrispondeva a 1.091,25 m².



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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