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                prestiti europei: la politica bancaria del governo assurdamente respin-
                geva le società per azioni, ma poi consentiva che il denaro napoletano
                andasse a finanziare le costruzioni ferroviarie tedesche nel Baden; ri-
                nunziava alla creazione di banche moderne e intanto tollerava che pro-
                prio nelle Due Sicilie vivessero i banchi di mercanti franco-svizzeri e
                che le poche possibilità industriali della Sicilia venissero sfruttate da
                Francesi e Inglesi». Questo era l’amato Regno del Sud così tanto rim-
                pianto ancora oggi, forse più di ieri, dai borbonici siciliani. E ce ne
                sono in abbondanza.
                   Giuffrida parte proprio dalle considerazioni di Trasselli e nel suo
                primo volume approfondisce il periodo pre-unitario e ricostruisce le
                vicende degli anni immediatamente successivi. Nelle intenzioni iniziali,
                doveva coprire l’arco temporale dal 1843 al 1867, ossia, per dirla con
                lo stesso Giuffrida, «dall’epoca in cui, preso l’abbrivo dalle Casse di
                Corte istituite a Palermo e a Messina dal Banco delle Due Sicilie, l’Isti-
                tuto in fieri raccoglierà e potenzierà l’eredita delle cinquecentesche Ta-
                vole ivi esistenti divenendo nel 1850 Banco Regio dei Reali dominii al
                di là del Faro, sino alla trasformazione in Ente morale autonomo, de
                iure Banco di Sicilia, dopo una dura lotta per la sopravvivenza soste-
                nuta, contemporaneamente al Banco di Napoli, per contrastare la po-
                litica di espansione della Banca Nazionale nel Regno».
                   Di fatto, Giuffrida non rinunzia opportunamente a un capitolo in-
                troduttivo sul dibattito avviato nel 1824 dall’operatore comasco Giu-
                seppe De Welz che avrebbe portato vent’anni dopo, nel 1843, alla crea-
                zione delle due Casse di Corte di Palermo e Messina, come succursali
                del Banco delle Due Sicilie. È appena il caso di rilevare che sino ad
                allora tanto le Tesorerie di Napoli e di Sicilia, quanto i commercianti,
                per rimettere fondi dall’una all’altra parte del regno delle Due Sicilie
                erano costrette, come accadeva nei secoli precedenti, a effettuare l’in-
                vio o in numerario effettivo o in cambiali tratte sulle piazze di Palermo
                o di Napoli da banchieri o commercianti privati, con tutti i rischi e le
                spese che comportava il trasporto per mare del numerario, ma anche
                per terra, a causa della insicurezza delle strade; oppure, nel caso delle
                cambiali, con un forte aggravio di spesa derivante dalle oscillazioni dei
                cambi e dai diritti di mediazione e fiscali. Una situazione davvero in-
                sostenibile in una fase di espansione dell’economia mondiale quale si
                realizzava negli anni Trenta dell’Ottocento.
                   L’istituzione delle due Casse di Corte consentiva agli organi gover-
                nativi e agli operatori economici privati di utilizzare per i pagamenti e
                i trasferimenti di denaro i titoli di credito (fedi, polizze, polizzini) che il
                Banco delle Due Sicilie e le due nuove Casse rilasciavano contro il
                corrispettivo in numerario, titoli che erano accettati in ogni cassa regia
                e provinciale e che facilitavano enormemente gli scambi commerciali.
                La Cassa di Palermo ebbe sede presso il palazzo delle Finanze, già sede





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVIII - Dicembre 2021
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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