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Alonso De Ponte, agente e procuratore spagnolo a Roma alla fine del sec. XVI   393


                    cuerpo a la sepultura se llamen los niños huerfanos y los clerigos del
                    señor Santiago y los demás conventos y cofradías» . Sin dall’inizio,
                                                                       29
                    dunque, entrambi i testamenti si prestano ad uno sguardo compara-
                    tivo, e ci forniscono alcuni dati interessanti su cui è opportuno soffer-
                    marci brevemente.
                       La cappella di San Ildefonso fu eretta nella chiesa di San Giacomo
                    degli Spagnoli nel 1501 da Diego Meléndez de Valdés, vescovo di Za-
                    mora, che morì a Roma nel 1506, e che la scelse proprio come luogo
                    di sepoltura . Il vescovo, che era maggiordomo di papa Alessandro VI,
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                    fece realizzare in San Giacomo degli Spagnoli anche la splendida porta
                    della sagrestia . In questa fondazione, e nella volontà di esserevi se-
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                    polti, si può scorgere un vincolo proprio tra Roma e la città spagnola
                    di Zamora, terra di origine anche di Alonso de Ponte e di sua moglie.
                    Questo si esprime nella scelta, da parte di questi ultimi, di farsi sep-
                    pellire nella cappella fondata a Roma da un vescovo di Zamora, in una
                    cappella dedicata a un santo il cui corpo è custodito nella cattedrale
                    della città. Un vincolo che trascende dunque la dimensione puramente
                    fisica ed è volto a perpetuare questo legame anche oltre la vita.
                       Nel documento non si fa esplicito riferimento a quali dei numerosi
                    conventi  e  confraternite  romane  i  testatori  si  riferissero.  Tuttavia,
                    come ha notato Francesco Parnisari, erano imprescindibili «i rapporti
                    intrecciati con i conventi degli ordini regolari e le parrocchie ramificate
                    nei vari quartieri» . Ciò è dovuto al fatto che il “microcosmo” delle
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                    istituzioni nazionali non era chiuso in se stesso ma in contatto con le
                    altre componenti della città . È abbastanza frequente trovare persone
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                    della nazione spagnola a Roma che, nelle loro ultime volontà, scelsero
                    di farsi seppellire nella loro chiesa nazionale, e questo è testimoniato
                    proprio dagli innumerevoli testamenti conservati nei volumi dell’Archi-
                    vio Urbano. Si tratta di un segno evidente da un lato del rango occu-
                    pato dal personaggio all’interno della propria comunità nazionale, e
                    dall’altro della volontà di rinsaldare, al momento della propria morte,
                    i legami con la propria terra d’origine. Questi due aspetti emergono
                    chiaramente anche dalla lettura dei testamenti qui esaminati.
                       Una parte consistente è poi dedicata alle messe in suffragio che si
                    devono celebrare nei giorni successivi alla morte. Il testamento dice
                    che nel giorno della sepoltura «se diga una missa de requiem cantada
                    con su vigilia con el cuerpo presente si se pudiere», mentre se ciò non
                    fosse possibile si dica «la missa que se suele dezir el primer miercoles


                       29  Ivi, c. 41r.
                       30  M. Armellini, Le chiese di Roma cit., p. 381.
                       31  Ibidem.
                       32  F. Parnisari, Migranti e forestieri in Italia cit., p. 42.
                       33  Ibidem.


                                                 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XIX - Agosto 2022
                                                           ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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