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                ruolo fondamentale nella creazione di interlocuzioni e legami fra le dif-
                ferenti élite. Lo spaccato che ne emerge, nella sua ricostruzione tra-
                sversale, è di estremo interesse. Il principio da cui Ruiz Ibañez muove
                è che istituzionalmente la Monarchia avesse la necessità di essere pre-
                sente in multipli spazi dove coltivava interessi, anch’essi plurali. Con-
                solidare una presenza diplomatica significava poter intervenire in ma-
                niera attiva nei processi decisionali, condizionando la politica locale e,
                nei migliori dei casi, orientarla secondo le volontà del re. Evidente-
                mente la funzione diplomatica poteva essere assunta ufficialmente o
                ufficiosamente, seguendo percorsi definiti e legittimi o meno struttu-
                rati. Non sempre, in definitiva, si intraprendevano sentieri lineari. Ciò
                si evince per esempio dalla ricostruzione della presenza delle infanti di
                Spagna nelle corti straniere, in un contesto in cui i matrimoni costi-
                tuivano uno degli strumenti più importanti per far gravitare poteri po-
                litici minori nell’orbita della Monarchia. Ma le principesse spagnole,
                come ogni agente politico, erano immerse in spazi di conflitto e com-
                petizione, nei quali i propri interessi familiari, le aspirazioni personali,
                le inimicizie, i compromessi e i sentimenti non sempre rispecchiavano
                le indicazioni della dinastia di origine. Ne è un esempio Anna d’Austria,
                moglie di Luigi XIII, che supportando la politica antispagnola di Giulio
                Mazzarino contribuì a determinare la sconfitta del fratello Filippo IV,
                alla vigilia della pace dei Pirenei.
                   Questo, come molti altri casi descritti dall’Autore, inducono a riflet-
                tere  su  quanto  fosse  complessa  la  costruzione  di  interessi  comuni,
                nelle corti europee in generale e ancor di più in quella Pontificia. Nella
                profonda consapevolezza dell’importanza della “via di Roma”, matu-
                rata soprattutto durante il pontificato di Alessandro VI, sia Carlo V sia
                Filippo II impararono a maneggiare con cura le relazioni con i capi
                della Chiesa Cattolica, espressione di un potere tanto instabile quanto
                egemonico, capace di legare e condizionare l’azione dei sovrani sotto-
                ponendoli  a  pericolose  dipendenze.  Un  equilibrio,  quello  che  legava
                Madrid alla città eterna, che aveva una cassa di risonanza tra Europa
                (in quelle corti dove chierici e prelati spagnoli furono richiesti per raf-
                forzare  l’ortodossia  romana  e  l’apparato  repressivo  inquisitoriale)  e
                America: lì approdava la spiritualità iberica, attraverso figure di reli-
                giosi che agivano come esportatori di cultura con le loro missioni po-
                litiche e di salvezza.
                   La circolazione orizzontale, garante della diffusione capillare del
                “pensiero iberico”, prendeva però anche le vie del “Mediterraneo irre-
                golare”, legando le orillas del Mare Interno, con passaggi di andata e
                di ritorno, di captivi, rinnegati, spie, emarginati: canali informali e





                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XX - Dicembre 2023
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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