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202 Salvatore Fodale
terra di Mineo un terzo Artale, figlio del fratello Matteo, ma con l’ob-
bligo per quest’ultimo di dare mille onze al conte Ruggirotto de Passa-
neto, per ripagarlo di quanto il testatore gli era forse obbligato. Sempre
nel suddetto caso di mancanza di discendenti legittimi, il fratello Man-
fredi gli sarebbe succeduto in hospicio nostro Messane cum turri et per-
tinenciis, l’altro fratello Giacomo in hospicio novo nostro civitatis Catha-
nie e avrebbe ricevuto un legato di cento fiorini, il figlio naturale Ma-
ciotta oltre che a Traina gli sarebbe succeduto in turri prope Cathaniam
cum suis iuribus, viridariis, pertinenciis et clausuris, l’altro figlio Gio-
vanni oltre che nella terra e castello di Aci anche in loco nostro de
Nexima cum iuribus suis, edificiis, vineis, viridariis et pertinenciis, non-
ché in hospicio nostro veteri civitatis Cathanie. I quattro fratelli di Artale
si sarebbero inoltre divisi in parti uguali i beni della sua Camera, che
non fossero sub potestate et custodia della vedova Agata, animali, iu-
menta ac arma corporis nostri.
Vietò l’alienazione di tutti i beni immobili, feudali o burgensatici,
perché fossero conservati personis ad quas, si alienacio ipsa facta non
esset, sarebbero pervenuti. Per i beni che sarebbero potuti andare ai
due figli maschi naturali Artale d’Alagona dispose una disciplina suc-
cessoria analoga a quella per i figli legittimi e conforme all’obiettivo che
costituissero nel tempo un ramo secondario della famiglia Alagona.
Dopo avere brevemente disposto sulla sepoltura, per la quale aveva
già provveduto, e avere indirettamente mostrato l’accrescimento del
patrimonio in beni feudali e burgensatici rispetto al patrimonio rice-
vuto dal padre, Artale d’Alagona prese in considerazione nel testa-
mento anche la propria sostituzione nel governo della Sicilia, dispo-
nendo su città e terre demaniali, con l’obiettivo evidente di mantenere
alla famiglia il potere territoriale conseguito. Manifestò la preoccupa-
zione che, data anche l’absenciam della regina Maria, la propria morte
potesse, come avveniva di solito, recare danno all’esercizio del potere
nelle località governate da lui. Giustificava peraltro politicamente le
disposizioni che stava prendendo, sia pro salute dei territori governati,
sia observacione fidei dovuta alla regina, e le legittimava auctoritate
vicariatus officii, che aveva ricevuto dal re Federico IV in eius ultimo
testamento. A queste considerazioni, rivolte alla stabilità del potere, e
alla fedeltà alla regina, intese nell’interesse generale, aggiunse però di
volere operare etiam ut in cognomine nostro pro sui conservacione re-
maneat unum capud.
Deliberò, come vicario generale del Regno di Sicilia, che i suoi fra-
telli divenissero, alla sua morte, rectores et gubernatores di quei loco-
rum demanii, que nos regimus: Manfredi della città di Messina con la
piana di Milazzo, Taormina, Francavilla, Catania, Motta, Caltabiano,
Noto e Randazzo cum castris fortiliciis et quibuslibet iurisdicionibus;
Giacomo della città di Siracusa cum suis castris; Matteo della terra di
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)