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Le ultime volontà di Artale D’Alagona, vicario generale del Regno di Sicilia 205
Il conte Artale dette ulteriori disposizioni rispetto all’eventuale ma-
trimonio della figlia Maria. Se si fosse sposata extra insulam Sicilie, hoc
est cum aliquo magnifico extra insulam predictam commoranti, avrebbe
ricevuto soltanto una dote di ottomila onze, tremila delle quali non le
sarebbero state date in contanti, ma in iocalibus et arnesio. Se invece
si fosse maritata intra insulam Sicilie, hoc est cum aliquo magnifico eiu-
sdem Regni, avrebbe avuto tutti i beni mobili e immobili, le terre e i
castelli, eccetto naturalmente quelli legati ad altri, avrebbe cioè rice-
vuto terre e castelli di Augusta, Mineo, Gagliano, Traina, Paternò,
Motta Sant’Anastasia, Aci, Calatabiano, il castello di Curcuraci e il ca-
sale di Melilli. Lo scopo evidente era quello di favorire un matrimonio
siciliano, e soprattutto d’impedire l’insediamento nel Regno di uno
straniero. Artale dispose inoltre che la figlia abitasse a Catania con la
madre, dalla quale fosse educata, e con l’avia, Costanza Moncada. Se
Maria fosse morta senza figli, Traina sarebbe andata a Maciotta ed Aci
a Giovanni, figli naturali che aveva legittimato e nobilitato, ai quali
lasciò comunque duecento onze l’anno ciascuno, rispettivamente sui
redditi di quelle stesse terre, mentre Augusta sarebbe andata al conte
Ruggirotto de Passaneto, Mineo a Maciotta d’Alagona figlio del fratello
Matteo (detto anche lui Maciotta), Calatabiano ad Artale figlio del fra-
tello Blasco. Alla figlia naturale Adamante dette in legato cinquecento
onze pro maritagio, e trenta alla madre in contanti, in subsidium vite
sue. Alla Camera per la moglie aggiunse quattromila onze.
Preoccupato principalmente dal governo del Regno e dal futuro
della sua signoria, Artale d’Alagona dichiarò apertamente di confidare
nel fratello Manfredi e di volergli affidare regimen, officia vicariatus,
dignitates et omnia prerogativa Regni. Espresse pertanto la volontà che
fosse vicarius generalis del Regno nomine et pro parte della regina Ma-
ria e che inoltre fosse il magister iusticiarius del Regno e il capo della
famiglia (capud domus), nonché rector et gubernator tocius regiminis,
ma sempre in nome della regina. Gli trasmise, in conclusione, tutti i
poteri, tanto quelli pubblici che aveva ricevuto da re Federico IV,
quanto quelli sulla propria famiglia, e specificò di volere che eserci-
tasse concretamente il dominio su Caltagirone, Piazza, Castrogiovanni
e Calascibetta e sui relativi castelli. Modificando le disposizioni del te-
stamento, tolse a Giacomo e affidò a Manfredi il castello extra civitatem
di Siracusa e stabilì che Pino Campulo ne fosse il castellano, ma or-
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dinò che detratte le spese per la guardia del castello i proventi della
secrezia siracusana andassero a Giacomo, mentre a Manfredi toccas-
sero i redditi extractionis victualium del porto. Similmente tolse all’altro
fratello Matteo (o Maciotta) i castelli di Lentini, che dette a Manfredi in
20 È il castello Marchetto (Castelli medievali cit., p. 412).
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)