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                dei benefici ecclesiastici, ma il testo del documento in questo punto è
                lacunoso e di difficoltosa interpretazione.
                   Alla moglie Agata Chiaromonte lascò tutti i beni mobili, schiavi e
                damigelle al suo servizio nella parte del castello dove abitava, i gioielli
                del duca d’Angiò o i cinquemila fiorini del loro eventuale riscatto, rite-
                nendo che tanto la ripagasse completamente de omni et toto eo, ad
                quod teneri sibi possumus, sia rispetto al dotario che le aveva asse-
                gnato col contratto matrimoniale, sia rispetto alla dote da lei portata,
                che era stata costituita soltanto in iocalibus et arnexio, che non solo
                ancora  possedeva,  ma  che  erano  stati  molto  accresciuti.  Auspicava
                che,  finché  restasse  vedova,  non  lasciasse  Catania  e  si  occupasse
                dell’educazione di Maria, ma se si fosse risposata o trasferita la figlia
                avrebbe dovuto essere affidata al tutore.
                   Dispose che le vestes corporis nostri fossero divise dai fidecommis-
                sari tra i suoi camerarios. Lasciò in legato arma, equos ed aves a cia-
                scuno dei servitori ai quali erano affidati. Liberò tutti, secreti, ammi-
                nistratori, percettori di beni e di redditi, da ogni obbligo e da ogni de-
                bito. Volle infine che nelle cappelle o altari, sui quali aveva diritto di
                patronato, nelle due chiese catanesi di Sant’Agata, sia la Maggiore (os-
                sia la cattedrale) che la Vetere, non variasse il numero dei celebranti,
                né la loro retribuzione. Costituì fidecommissari ed esecutori testamen-
                tari gli abati di San Nicolò L’Arena e di Santa Maria de Novaluce, il
                fratello Manfredi e il protonotaro del Regno di Sicilia, il nobile Bertino
                de Iuvenio.
                   Poco più di due anni e mezzo dopo, il 5 febbraio 1389, festività a
                Catania  della  patrona  sant’Agata,  Artale  d’Alagona,  ancora  sano  di
                mente, ma ormai malato, presentò al giudice Bindo de Bindo  dei co-
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                dicilli, redatti ancora dal notaio Antonio de Parma. Erano presenti e
                sottoscrissero come testimoni personaggi di rilievo di importanti fami-
                glie catanesi e della signoria alagonese: il dominus Giovanni de Ta-
                rento, giudice della Magna Curia e protonotaro del Regno di Sicilia, il
                nobile  Ruggero  de  Lamia  di  Lentini,  il  quale  era  stato  strategoto  di
                Messina , il miles dominus Roberto de Bonisfiliis, tesoriere del Regno
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                di Sicilia , il phisicus magister Guglielmo de Ansalone, il notaio Do-
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                menico de Veronensibus de Bononia, i milites e domini Nicolò Traversa,
                Tommaso de Massaro e Giacomo de Piscibus, Pino Campulo di Sira-
                cusa e Luca de Avola .
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                   16  C. Ardizzone, I diplomi esistenti nella Biblioteca comunale ai Benedettini. Re-
                gesto, Catania 1927, n. 589. Il 5 febbraio 1376 Bindo de Bindo era già giudice ai
                contratti della città di Catania.
                   17  Giuffrida, Il cartulario cit., pp. 111, 114 s.
                   18  Ibidem, pp. 97, 99.
                   19  Ibidem, pp. 97, 99, 114 s.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XXI - Aprile 2024
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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