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2. I processi di riscatto in demanio tra Napoli e le province
La possibilità da parte dei poteri locali di avanzare la richiesta di
devoluzione fu formalizzata nel 1536, quando Carlo V introdusse lo jus
praelationis con l’intento di favorire o, meglio, preferire, in caso di ven-
dita di un feudo, le università ai baroni «il che rispondeva – scriveva
Lodovico Bianchini – autorizzarle a francarsi da quella servitù a proprie
spese e valeva quanto se loro si fosse imposto una contribuzione
uguale al prezzo che pagavano. A questa specie di comprato privilegio
si diè allora il proprio nome di proclamare al regio demanio o procla-
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mazione alla libertà» .
La richiesta di devoluzione diventava possibile allorché il feudo, vuoi
per l’eccessivo indebitamento delle casse baronali, vuoi per l’interru-
zione della linea successoria in mancanza di eredi entro il quinto grado
di parentela, rientrava nella disponibilità della regia corte, che poteva
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disporne la vendita al migliore offerente . In questo contesto i poteri
municipali o – per meglio dire – il ceto dei ‘demanisti’, appellandosi al
diritto di prelazione, potevano proporsi come potenziali acquirenti tra
quanti intendevano concorrere all’aggiudicazione del feudo in vendita,
facendosi carico di tutte le spese necessarie non solo all’effettivo acqui-
sto, ma anche alla gestione dell’intero iter procedurale tra Napoli e il
territorio.
Attorno a queste vicende si attivarono, a diversi livelli, istanze poli-
tiche e sociali che mettevano volta a volta in discussione vantaggi e
svantaggi della possibile demanializzazione di città infeudate o della
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infeudazione di città regie . Il passaggio di una città da feudo a dema-
nio e viceversa produceva, infatti, e ridefiniva gli equilibri politici. Il
conseguimento del regime demaniale poteva, di fatto, favorire nello sce-
nario locale l’affermarsi e il predominio di nuovi gruppi emergenti; e,
dall’altro lato, esso consentiva di congelare o attenuare il peso di alcune
famiglie feudali nelle relazioni con le forze politiche a Napoli e a Madrid.
Le trattative giurisdizionali e le operazioni economiche erano ammi-
nistrate direttamente e prevalentemente a Napoli, per il tramite di avvo-
cati per lo più di origine napoletana, ma attivi nelle province, che
discutevano presso i tribunali la prelazione e il prezzo di vendita del
13 Il corsivo della citazione è mio. L. Bianchini, Della storia delle finanze cit., II, p. 259.
14 Per un’analisi dell’indebitamento strategico o strutturale e il comportamento della
grande nobiltà per superare e aggirare le difficoltà economiche, cfr. L. Alonzi, Famiglia,
patrimonio e finanze nobiliari. I Boncompagni (secoli XVI-XVIII), Laicata, Manduria, 2003.
Per un confronto con la tarda età moderna si veda C. Maiello, L’indebitamento bancario
della nobiltà napoletana nel primo periodo borbonico 1734-1806, Istob, Napoli, 1986.
15 È quanto emerge in G. Cirillo, Spazi contesi. Camera della Sommaria, baronaggio,
città e costruzione dell’apparato territoriale del Regno di Napoli (secoli XV-XVIII), Guerini,
Milano, 2011, II, pp. 248-271.
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Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Dicembre 2019
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)