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Il costoso miraggio della demanialità. Ceti emergenti e attività creditizie... 547
di Isernia fu tra le cause dibattute tra Napoli e Madrid negli anni Trenta
del Seicento, per fronteggiare la crisi finanziaria che stava attraversando
la Corona spagnola e che avevano a oggetto anche la vendita di altre
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città regie del Regno di Napoli . Fu quello il momento per le istituzioni
madrilene, infatti, di censire le città regie e constatare quali e quante
continuavano a rivestire un’importanza tale da esigere il mantenimento
o meno dello stato demaniale per “pubblica necessità”. Lunghe e com-
plesse furono, in quell’occasione, le trattative politiche tra il centro
castigliano e Napoli per la definizione di soluzioni che non furono e non
potevano essere sempre univoche, ma che piuttosto erano dettate dalle
circostanze e dalla possibilità di riconsiderare il ruolo delle singole città
nella più vasta politica della Corona per il governo del Regno. Dall’altro
lato, circostanze di questo tipo stimolarono anche le élite locali a nomi-
nare propri procuratori presso i tribunali napoletani per la risoluzione
delle stesse trattative e per raggiungere accordi, al fine di mantenere il
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regime demaniale versando simboliche somme di denaro .
Nel caso di Isernia, il Collaterale difese il mantenimento dello stato
demaniale della città perché era l’unica nel Contado di Molise a vantare
una lunga tradizione di città regia, per effetto di privilegi prima dei
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sovrani aragonesi e poi degli Asburgo di Spagna .
Diversamente dai due casi precedentemente analizzati, le vicende
di Isernia si contraddistinsero anche per la più estesa articolazione
sociale della città, che presentava una divisione in ceti. Il patriziato
urbano, infatti, era riunito nel Consiglio dei nobili, composto da venti-
cinque esponenti della nobiltà cittadina che aveva il pieno controllo dei
poteri municipali, provvedendo all’elezione di cinque componenti del-
l’università (un mastrogiurato, due compagni del ceto dei nobili e due
eletti). Fu proprio la nobiltà cittadina a farsi promotrice del manteni-
mento dello stato demaniale con l’esborso del denaro necessario,
secondo dinamiche finanziarie analoghe a quelle indicate per gli altri
54 Una prima analisi del momento di crisi e dell’urgente esigenza di vendita delle terre
demaniali nei primi decenni del XVII secolo è in F. Del Vecchio, La vendita delle terre
demaniali nel Regno di Napoli dal 1628 al 1648, «Archivio Storico delle Province Napole-
tane», CIII (1985), pp. 163-211; più di recente ha indagato la questione G. Cirillo, Spazi
contesi cit., II, pp. 248-271.
55 Si vedano, a titolo di esempio, i casi di Chieti e Teramo nelle ricostruzioni fatte in
M. Trotta, Potere feudale e controllo feudale alla periferia del Regno: l’Abruzzo citra nell’età
moderna (secoli XVI-XVII) in A. Musi, M.A. Noto (a cura di), Feudalità laica e feudalità
ecclesiastica cit., pp. 293-310. Per Monopoli e Ostuni, in cui i processi di aristocratizza-
zione della società tra XVI e XVII secolo produssero le prelazioni in demanio delle stesse
città, si rinvia a A. Carrino, La città aristocratica. Linguaggi e pratiche della politica a
Monopoli tra Cinque e Seicento, Edipuglia, Bari, 2000; Ead., Il feudatario in città. Ostuni
sotto gli Zevallos, in A. Carbone (a cura di), Scritti in onore di Giovanna Da Molin. Popola-
zione, famiglia e società in età moderna, Cacucci, Bari, 2017, pp. 107-126.
56 G. Cirillo, Spazi contesi cit., II, p. 262.
n. 47 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Dicembre 2019
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)