Page 190 - Mediterranea-ricerche storiche, n. 47, dicembre 2019
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di fare parallelamente, essendo tra l’altro ben poco rimasto, nel 1868,
della vecchia flotta Tokugawa (solo sette vascelli, cui se ne affiancarono
undici provenienti da domini privati, per costituire la “Marina dell’Im-
pero del Grande Giappone” come venne da allora innanzi denominata).
Situazione consimile per la Marina Militare italiana dopo Lissa. Sulle
coste giapponesi l’arrivo della pirocorvetta venne salutato con interesse,
per non dire entusiasmo. Anche in Giappone – con la Restaurazione
Meji alle porte – si respirava una nuova aria di “modernità” se non di
rivoluzione, molto simile a quella italiana, almeno per quel che riguarda
i sovvertimenti negli equilibri latifondistici del mondo agrario – e il gio-
vane Enrico Hillyer Giglioli, colui che insieme con lo sfortunato Bove
parlerà tra i primi del Giappone in Italia con cognizione di causa (ovvero
essendovi stato), seppe bene coglierla. Ma il viaggio della Magenta, que-
sta meravigliosa circumnavigazione del globo che ricorda, secoli dopo,
quella di un Magellano – e il Pigafetta fu in questo caso proprio il natu-
ralista Giglioli nato a Londra nel 1845, e dunque giovanissimo ed entu-
siasta –, non aveva esordito sotto la miglior stella, se è vero che per
motivi politici, legati ai rapporti con l’Inghilterra e la Francia, la missione
diplomatica in Estremo Oriente era già stata temporaneamente sospesa
nel 1864, creando tutta una serie di difficoltà agli scienziati e ai militari
che avrebbero dovuto prendervi parte. E quando, onusta di gloria, la
Regia nave tornò in patria, attraccando al porto di Napoli, il 28 marzo
1868, venne accolta molto modestamente, ed immediatamente mandata
in disarmo. Questo non ostante i notevoli successi diplomatici, dovuti
al grande comandante, il capitano savoiardo Arminjion, e a quelli na-
turalistici, grazie soprattutto al Giglioli – dopo che la malattia aveva
colpito, a Saigon, il Senatore Filippo De Filippi. Ma oramai i rapporti
con il Giappone erano stati fondati su basi abbastanza solide, come di-
mostreranno poi le future missioni diplomatiche giapponesi in Italia.
Gli antipodi (anche se non sono proprio tali) erano congiunti, con rela-
zioni che cresceranno sempre fino almeno alla parentesi bellica, per ri-
prendere dopo in età fascista.
La questione che qui vogliamo affrontare, tuttavia, riguarda l’imme-
diata preistoria dell’inizio di queste relazioni. È pur vero che il Giappone
– per tanti aspetti, a cominciare dall’estensione, essendo solo circa il
20% maggiore dell’Italia – presentava connotati “geo-politici” abbastanza
simili a quelli italiani; ed è altrettanto vero che, a partire almeno da
Francesco Saverio e dal Valignano, i Gesuiti (e Francescani, e poi mis-
sionari di numerosi altri ordini) avevano fatto ampiamente conoscere il
Giappone all’Europa, e all’Italia, come dimostrava, tra l’altro, la storia
di Daniello Bartoli ampiamente ristampata e circolante anche in quegli
anni. Ma è altrettanto vero che il mondo giapponese – meno per molti
aspetti di quello cinese – continuava a essere molto misterioso, nell’Italia
risorgimentale, come del resto lo era stato in età napoleonica. Il tramite
n. 47
Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVI - Dicembre 2019
ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)