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                delle Bocche. Esso si canalizzava verso quattro assi principali, tre dei
                quali in Adriatico (Albania ottomana, Puglia e Marche) e uno nello Io-
                nio (Isole Ionie e Morea, accumunate nell’analisi).
                   Il traffico principale, al quale partecipavano tutti i bocchesi, era con
                l’Albania ottomana, considerate le «picciole Indie» veneziane grazie al
                notevole afflusso di merci provenienti dall’entroterra balcanico . Negli
                                                                            12
                scali  albanesi  si  caricavano  frumento,  formentone  (il  sorgo  turco  o
                mais), sementi di lino, olio, cera grezza, lana (di gran lunga la più im-
                portata a Venezia, per quanto fosse la meno pregiata) , tabacco e pe-
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                sce salato (scoranze, le sarde d’acqua dolce del fiume Boiana, emissa-
                rio del lago di Scutari, oltre a cefali e bottarga) . I mercati di sbocco
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                erano soprattutto i domini veneti, mentre il commercio verso Trieste
                risultava ancora assai limitato. Il traffico si svolgeva in gran parte con
                «piccole partite e per il più accompagnate da proprietarij» .
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                   I bocchesi nel loro insieme partecipavano anche al commercio con
                le Marche, per quanto esso si limitasse al solo viaggio annuale per la
                fiera di Senigallia , dove venivano indirizzati legno scotano , pellami,
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                cordovani, pece, formaggi e salumi; il ricavato, quasi esclusivamente
                in contante, era reimpiegato nell’acquisto di vasellame in maiolica, ci-
                polle, lardo e formaggi, venduti con facilità sia nelle Bocche stesse che
                nella vicina Budua. Il commercio diretto con la Puglia era invece eser-
                citato per la massima parte da mercanti di Cattaro e vedeva l’esporta-
                zione di pelli – tra le quali una fetta consistente era data dai cordovani
                (pelli lavorate di capra e/o pecora) – e pesce salato, con l’importazione
                (quando tornava conveniente un viaggio diretto andata-ritorno e non


                   12  Asv, Csm, s. I, 557, 7.3.1732; G.A.M. Morana, Saggio delli commerciali rapporti dei
                veneziani colle ottomane scale di Durazzo ed Albania e con quelle d'Aleppo, Siria e Pale-
                stina, Venezia, 1816, p. 54.
                   13  Quanto meno in alcuni periodi, l’Albania ottomana arrivò a coprire circa il 50%
                delle importazioni di lana greggia a Venezia. Il valore della lana albanese risultava co-
                munque il più basso - 0,74 lire per libbra a metà del secolo, rispetto alle 3,24 lire della
                lana spagnola, la più pregiata. W. Panciera, L’arte matrice: i lanifici della Repubblica di
                Venezia nei secoli XVII e XVIII, Canova, Treviso, 1996, pp. 162-164, 264, 266, 268.
                   14  Secondo una relazione del primo Seicento, «il fiume Boiana [è] fertilissimo et ab-
                bondantissimo d’ogni sorte de pescaggioni, ad ogni staggione produce il suo pesce». Le
                sarde in questione erano gavoni e «chepie pretiose e delicate di quattro, cinque libre
                l’una». Bnm, cod. It. VI, 176 (=5879), Mariano Bolizza, Relazione del Sangiaccato di Scu-
                tari [1614], in R. Vitale D’Alberton, La relazione sul sangiaccato di Scutari: un devoto
                tributo letterario alla Serenissima da parte di un fedele suddito cattarino, «Studi Vene-
                ziani», n.s. XLVI (2003), p. 325 (313-340).
                   15  Asv, Csm, s. II, 61, Dulcigno, parte I, Csm 20.3.1719.
                   16  La fiera di Senigallia si svolgeva tra luglio e agosto. M. Mazzanti Bonvini, Il conso-
                lato di fiera a Senigallia, 1716-1861, «Quaderni storici delle Marche», Vol. 3, n. 9 (3-
                1968), p. 488 (486-522).
                   17  Lo scotano, l’«albero della nebbia», è un arbusto da cui si ricavava un colorante pur-
                pureo.



                Mediterranea - ricerche storiche - Anno XVII - Aprile 2020
                ISSN 1824-3010 (stampa)  ISSN 1828-230X (online)
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